Capitolo 9

151K 4.5K 4K
                                    

Arrivai negli spogliatoi della piscina con una carica pazzesca.
Quella mattina, Damon non si era fatto vedere, ma il fatto che Jered e l'altro ragazzo, di cui, ancora non conoscevo il nome, erano presenti, mi fece sperare di poterlo incontrare il pomeriggio, duramente la nostra attività extra, in comune.
Non avrei saputo cosa dirgli, ne tanto meno cosa fare, ma al momento mi bastava vederlo poi, il resto sarebbe venuto da se.
Lasciai i miei capelli sciolti sulle spalle, prendendo un lungo respiro, prima di uscire dallo spogliatoio, coperta dal mio accappatoio bianco.
Col passare dei giorni, avevo imparato ad ignorare i commenti stupidi delle mie compagne di corso e stavo già meglio.
Camminai verso il coach, già impegnato ad istruire i nuovi arrivati del primo anno.
"Buongiorno", salutai, restando in disparte, lui era già lì.
Distolsi lo sguardo, imbarazzata dal suo essere, quasi nudo.
Ero però curiosa di vedere, uno ad uno i tatuaggi che ornavano il suo corpo, ma al momento non era il caso di mettermi a fissarlo, sarebbe stato abbastanza, inquietante da parte mia.
"Oh salve Krystal, inizia il riscaldamento".
Annuì, avvicinandomi al mio solito armadietto per togliere l'accappatoio e sarebbe stato molto più semplice, se i suoi occhi non avessero bruciato come fuoco sulla mia schiena.
Esalai un respiro tremolante, una volta rimasta solo in costume.
Il mio, era sicuramente molto più decoroso rispetto a quello delle altre ragazze che avevano preferito prendere qualche taglia in meno, pur di mettersi in mostra.
Tenni lo sguardo basso, una volta sedutami sul bordo della mia vasca, al fianco della sua.
Lui era fermo, al mio fianco, con lo sguardo dritto davanti a se, mentre prendeva una pausa, dopo chissà quante vasche fatte. Sembrava esausto, sembrava quasi che facesse di tutto pur di sfinirsi.
Ero in difficoltà, non ci eravamo lasciati nel migliore dei modi l'ultima volta, non per colpa mia, ma nonostante questo, non riuscivo ad ignorarlo, così lo salutai.
"Ciao", mormorai, immergendomi in acqua.
Era fredda quel giorno e la mia pelle, si ricoprì immediatamente di brividi.
"Ciao", rispose dopo qualche secondo di troppo, non mi guardò, riprendendo il suo secondo ciclo di allenamento.
"Ma che mi aspettavo?". Mormorai fra me e me, prima di iniziare il mio di allentamento che sapevo, sarebbe stato piuttosto duro, quel giorno.
Riemersi, una volta giunta alla scaletta apposta, reggendomi a questa.
Passai le mani sul viso, spostando alcune ciocche di capelli che mi finirono davanti gli occhi.
"Perché guardi la luna?".
"Cosa?". Scattai con il viso nella sua direzione, non pensavo fosse, lì fermo, ad aspettarmi.
"L'altra sera la stavi fissando, perché?".
Ma che domande?
"Mi piace farlo", scrollai le spalle. "Lo faccio da anni", aggiunsi, con un sorriso sulle labbra.
"È una cosa stupida", sbuffó, facendomi accigliare.
"Beh a me piace", cercai di mantenere la calma, arrabbiandomi non avrei ottenuto nulla e sinceramente non ne vale la pena. Damon era fatto così, dovevo imparare a dare il giusto peso ai suoi comportamenti molto, ma molto strani.
"Allora dovresti sapere che fra tre giorni..."
"C'è la luna piena, ovvio che lo so", le mie labbra si piegarono all'insù, ero così entusiasta di questa cosa, che mi sarei accontentata di guardarla anche dalla finestra della mia stanza.
"Sei informata", assottigliò lo sguardo, per poi riportarlo davanti a se.
"Stavo per essere scoperta, a causa tua", decisi di metterlo in difficoltà, volevo davvero ascoltare cosa si sarebbe inventato, per giustificare il suo ritorno all'orfanotrofio.
"A causa mia?". Tornò a guardami. "Se hai fatto troppo rumore, io non c'entro nulla".
"Perché sei tornato indietro? Miss Morris ti ha scambiato per un maniaco, ha detto che stavi guardando la mia finestra", ci andai giù pesante e dovetti trattenermi dal ridere, quando vidi i suoi occhi spalancarsi così tanto, che per poco non gli uscirono dalle orbite.
"Si sarà sbagliata, non ero io", rispose, mordicchiandosi il labbro. "Avevo di meglio da fare che fissare una finestra", mi lanciò un'occhiataccia, quando ridacchiai.
"Certo, come dici tu", alzai le mani in segno di resa. "Come va l'occhio?". Domandai, avvicinandomi di poco al suo viso.
"Bene", borbottò, poggiando i gomiti al bordo piscina. "Hai fatto la pace con il tuo fidanzato?".
Ovviamente il mio momento di gloria, era già finito e lui non perse occasione per vendicarsi.
"Non ancora", replicai, quella mattina Jacob non si era fatto vedere per niente, né aveva mandato un messaggio a Tate, ero molto delusa dal suo comportamento.
"Il solito coglione", borbottò.
"Credo che...che mi stia nascondendo qualcosa", sussurrai, attirando però la sua attenzione.
"Tutti nascondono qualcosa", ridacchiò amaramente.
"Io no, io non nascondo nulla", risposi di getto, la mia vita era sempre stata scritta su registi che documentavano anno dopo anno, tutto quello che facevo.
"Non ci credo", sghignazzò. "Anche la piccola e ingenua Krystal avrà i suoi scheletri nell'armadio", ammiccò.
"Ho sempre dovuto condividere il mio armadio con altre persone, non era il caso di nascondere lì, i miei peccati", scrollai le spalle.
"Quindi hai sempre vissuto in quella reggia?".
"Reggia?". Ridacchiai.
Certo, era una bella struttura, ma era ben lontana dall'essere una reggia, come l'aveva definita lui.
"Comunque no, prima stavamo a Londra", spiegai.
"Da quanto?".
I suoi occhi non perdevano nessuno dei miei movimenti nervosi e il mio povero labbro ne pagava le conseguenze.
"Oh, da sempre in pratica, sono stata abbandonata quando avevo pochi giorni di vita".
"Non ne sembri turbata".
Forse, quella fu la prima vera conversazione civile che stavo avendo con Damon ed il fatto che ci fossimo completamente dimenticati di dove ci trovassimo, mi fece sorridere.
"Non ho ricordi del prima e poi, mi hanno sempre trattata bene".
"Niente adozioni?".
"No", abbassai il capo, quello era un tasto abbastanza dolente che fingevo non esistesse. "Ma ormai non ci penso più. Sono grande!"
"A volte non si tratta soltanto di questo." mormorò.
"Che vuoi dire?".
"Nulla", replicò di getto, stringendo le mani a pugno. "Comunque fra poco sarai libera no? Potrai fare quello che ti pare".
"Non è così semplice", mormorai. "Non pensavo che...che fosse così difficile convivere con il mondo", poggiai il mento sul bordo.
Mi piaceva parlare con lui in quel modo, sembrava che mi stesse ascolto davvero, che gli interessasse.
Probabilmente non era così e fra mezzo secondo se ne sarebbe uscito con un'altra delle sua frasi cattive, ma volevo, come dire...godermi il momento.
"Neanche tornarci è facile".
"Posso...posso farti una domanda? Però non ti arrabbiare, basta solo dire che non ne vuoi parlare", tentai, il suo sguardo sembrò quasi addolcirsi dopo quello che gli avevo appena detto.
"Solo una", borbottò, cercando di mantenere la sua solita facciata da ragazzo duro.
"Sei stato in riformatorio?".
La dolcezza nel suo sguardo, si tramutò ben presto in rabbia, fastidio.
Infondo, dovevo aspettarmelo.
"Non voglio parlarne", fu infatti la sua risposta, secca, netta.
"Va bene", mormorai, abbassando lo sguardo, quando calò in acqua, riprendendo a nuotare.
Avrei voluto dirgli che non doveva scappare, non da me.
Avrei rispettato il suo silenzio, anche solo restandogli accanto senza dire nulla, ma sarebbe stato strano se davvero glielo avessi detto.
Forse, dovevo lasciarlo andare.

SweetDove le storie prendono vita. Scoprilo ora