Capitolo 42

161K 4.6K 4.4K
                                    

Krystal's pov
Avevo il cuore in gola. Nonostante ci fossi stata solo una volta, mi era impossibile non riconoscere dove lui abitasse. Dopo quello che era successo in quel bagno, non sapevo se andare da lui, e stare lì da soli, fosse una buona idea. Tuttavia, non avrei mai rinunciato a passare altro tempo con Damon, con la possibilità, che quella potesse essere l'ultima volta. Il sol pensiero, mi bloccava il respiro.
Tutto avvenne in silenzio, ma la tensione che aleggiava fra di noi, mentre salivamo le scale che portavano al suo appartamento, era fin troppo rumorosa.
Chiuse la porta di casa alle nostre spalle, mentre io mi guardavo intorno. Era tutto come lo ricordavo, forse solo un po' più disordinato. Alcune bottiglie di birra finite, stanziavano su un tavolino, posto davanti alla tv, così come alcuni scatoloni, che però erano chiusi.
"Vuoi qualcosa da bere?". Ebbi un fremito, al suono della sua voce, così bassa e roca, e da una parte fui felice, che non fosse troppo vicino a me.
Quella sera, eravamo entrambi troppo suscettibili.
"No, grazie". Si allontanò in cucina, tornando dopo qualche secondo, con una bottiglia di birra fra le mani.
Camminò fino al lettore cd, abbassandosi sulle ginocchia.
"Guarda che puoi sederti", disse, con lo sguardo rivolto alla tv. Dovevo proprio sembrargli una stupida sprovveduta, ma per me, questo era molto imbarazzante oltre che nuovo. Non capitava tutti i giorni, infatti, che Damon Cooper, volesse vedere un film in mia compagnia.
"Giusto", mormorai fra me e me, avvicinandomi al divano, mentre sfilavo la giacca, che lasciai al mio fianco. Dopo aver azionato il film, Damon venne a sedersi al mio fianco, più vicino di quanto avessi immaginato. C'era una parte di me, che moriva della voglia di poggiarsi a lui e lasciarsi cullare dalle sue braccia, ma poi c'era l'altra parte, quella razionale, che mi urlava di lasciar stare, che mi ripeteva quanto stupita fossi stata anche quella volta, in quel bagno. Come al solito, anche quel bacio era rimasto tale, ma non avevo il coraggio di rovinare quella serata con altre mille domande. Per una volta, volevo smettere di pensare, ma non era facile.
"Vuoi una coperta?". Disse. Il film era iniziato e sembrava, abbastanza tranquillo al momento.
"Si, ho un po' freddo", risposi, con il cuore che mi batteva a mille, cavolo dovevo darmi una calmata.
Allungò il braccio, verso la poltrona al nostro fianco, passandomi una coperta color vinaccia.
Inevitabilmente, il mio sguardo cadde nuovamente su quella scatola, completamente sigillata.
"Grazie", sorrisi, mettendola sulle spalle. "Ne vuoi un po' anche tu?".
"Sto bene".
"Ok", mormorai, riportando l'attenzione alla tv.
Damon, poggiò i piedi sul tavolino dopo aver tolto le scarpe, volevo farlo anch'io, ma quando allungai le mia gambe, sentì qualcuno al mio fianco, trattenere una risata.
"È troppo lontano, ecco perché non ci arrivo". Sbuffai.
"O forse, hai le gambe troppo corte", gli lanciai un'occhiataccia, mentre mi sfilavo le scarpe.
"Ecco fatto", mi misi di lato, poggiando le mie gambe sulle sue.
"Mh, non che mi dispiaccia", poggiò una mano all'altezza del mio ginocchio.
Poggiai la testa, contro lo schienale di quel divano, tornando a guardare quel film, che mi stava mettendo una certa ansia.
"Ma così lo ucciderà". Dissi.
"Meglio, è un pezzo di merda quello".
"Oddio, ma è lì dietro", poggiai la fronte contro la spalla di Damon, sbirciando di tanto in tanto.
"Krys, ti stai perdendo il meglio", ridacchiò. "Lo sta fucilando".
"Perché ho scelto questo film?", piagnucolai.
"Paura?". Girò il capo nella mia direzione, guardandomi dall'altro, mentre ero ancora aggrappata al suo braccio.
"Ansia", risposi. "Mi sto immaginando te al posto di quell'uomo", sussurrai.
Damon, sospirò distogliendo lo sguardo.
"Non avrei dovuto dirtelo".
"Non è questo", mormorai. "Ma è ovvio che io sia preoccupata. Vorrei che fosse già tutto finito".
Tornò a guardarmi, e mi sembrò quasi che i suoi lineamenti si fossero addolciti.
"Sai, sono piuttosto bravo a passare inosservato. Dovresti saperlo". Sogghignò.
"Già, a volte mi chiedo se tu non abbia qualche strano potere che ti fa apparire all'improvviso in un posto".
"Mi hai scoperto", sussurrò, assottigliando lo sguardo.
"Mh", ridacchiai. "Allora cerca di usarlo bene domani questo tuo potere".
"Non avere dubbi". Mi guardò negli occhi. "Finire in carcere, non è fra i miei piani futuri".
"Non ne ho", ricambiai lo sguardo. Passò qualche secondo, prima che trovassi il coraggio di chiedergli una cosa che frullava da tanto tempo nella mia mente. "Com'era il riformatorio?".
"Sapevo che me lo avresti chiesto, prima o poi".
"E avrò una riposta?".
"Grigio", disse. "Era tutto grigio e freddo". I suoi occhi caddero sulle mie gambe, ma in quel caso sapevo che era solo perso in se stesso, nei suoi ricordi.
"Erano molto severi, ma io non consideravo nessuno e loro non consideravano me".
"Ah quindi non parlavi con i tuoi compagni di stanza?".
"Non avevo compagni di stanza", alzò il capo, guardandomi. "Sono stato in isolamento dal primo all'ultimo giorno".
"Cosa? Perché?".
"Per quello di cui sono stato accusato", stava studiando attentamente la mia reazione. "Su, fai la tua prossima domanda".
"In realtà non è una domanda", portai le mani sotto al mento. "Ho sentito tante cose sul tuo conto ancor prima di vederti per la prima volta". Ora avevo la sua più completa attenzione. Afferrò i miei fianchi, trascinandomi sulle sue gambe.
"Tate diceva che hai ridotto un ragazzo in fin di vita e spesso, ho sentito dire la stessa cosa anche da altre ragazze negli spogliatoi. Ti temevano, ma allo stesso tempo, ti adoravano. Non le capivo, ma poi quando ti ho visto, ho pensato che ci fosse qualcosa che...insomma c'era qualcosa che non veniva detta".
Sentì la sua presa, farsi più forte su di me.
"Io non ho mai avuto paura di te", gli scappò un sorriso.
"Ah no?".
"No. Ho sempre pensato che tu fossi un incivile, buttavi sempre i fazzoletti a terra". Quel sorriso, si tramutò in una grossa risata.
"Fammi capire, la gente ti diceva che io ho quasi ucciso un ragazzo e tu pensavi ai fazzoletti che buttavo a terra".
"Anche", borbottai. "Quello che voglio dire, è io non penso che tu abbia fatto quella cosa. O almeno, non sei l'unico colpevole". Si irrigidì.
"Che vuoi dire?".
"Damon, io non ho idea di chi sia l'altro o cosa sia successo un anno fa. Anche se non ti conosco al cento per certo, io sono più che sicura che tu non sia un assassino o qualcosa del genere. A volte perdi il controllo, è vero. Ma non sei il mostro che tutti descrivono. C'è qualcosa sotto, qualcosa che io vorrei tanto sapere, ma..ma non pretenderò mai che tu mi debba raccontare la tua vita". Scrollai le spalle, alzando lo sguardo nel suo. Era...sconvolto.
Chiuse gli occhi, scuotendo il capo.
"Ho bisogno di fumare", mi spostò lentamente, alzandosi.
"Ho detto qualcosa di sbagliato?". Andai in panico. Non volevo questo. Si fermò, con la sigaretta fra le mani, mentre ancora mi dava le spalle.
"No, è questo il problema", poi aprì la porta finestra, uscendo fuori. Avvolsi il mio corpo in quella coperta, come se, potesse proteggermi dalle insicurezze che mi stavano piovendo addosso tutte assieme.
Il film, ormai, era quasi giunto al termine. Forse, tutto questo, non era stato affatto una buona idea. Quando Damon rientrò, non avevo il coraggio di guardarlo in faccia, così mi abbassai, per poter rimettere le scarpe.
"Che stai facendo?".
"Credo sia meglio che torni in istituto. È tardi". Mi alzai, aggiustando il vestito sui fianchi, ma quando alzai lo sguardo, notai quanto si fosse avvicinato.
"Puoi dormire qui". Trasalì. Come poteva pensare una cosa del genere?
"Credo sia meglio di no".
Afferrai la mia giacca, quando la sua mani finì sul mio braccio. Incontrai i suoi occhi, belli, come la luna. "Resta", disse e le parole mi morirono in bocca.
"Damon io...".
"Ti riaccompagno all'alba", la sua mano risalì fino al mio viso.
"Io...".
"Devi solo dire si", sussurrò sulle mie labbra. "Se non vuoi dormire con me, c'è sempre la stanza di....di Charlotte".
"Oh, non pensavo fosse la stanza di tua sorella", ammisi, ma pensandoci bene, potevo immaginarlo.
"Era la sua", distolse lo sguardo per un attimo, ma in quegli occhi per la prima volta, avevo letto una silenziosa preghiera. Come se, in un certo modo lui avesse bisogno di me. Mi piaceva pensarla così.
"Mettiamo la sveglia alle sei però", un sorriso, si fece spazio sul suo viso. Anche il mio cuore stava sorridendo.
"Si può fare". Replicò.
"Comunque il film è finito", ridacchiai, quando iniziarono ad uscire i titoli di coda.
"Meglio, hai pessimi gusti. Faceva schifo".
"Hey, sono più esperta su un altro genere".
"Che non guarderemo mai". Mi puntò un dito contro. Poteva sembrare una cosa stupida a cui a aggrapparsi, ma il fatto che avesse ipotizzato che un giorno avremmo visto un altro film insieme, era bello per me. Trattenni uno sbadiglio che però ai suoi occhi di falco non sfuggì.
"Andiamo nanetta". Mi sorpassó, dirigendosi verso il corridoio.
"Non chiamarmi così", sbuffai seguendolo nella sua stanza, restando però sotto l'arco della porta.
"Tieni", allungò una mano nella mia direzione. Afferrai il tessuto bianco e profumato dalle sue mani.
"Grazie, vado un attimo in bagno". Annuì, tornando nella sua stanza.

SweetWhere stories live. Discover now