Capitolo 15

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Tornai nella mia stanza più confusa di quando l'avevo lasciata.
Non avevo risolto nulla, anzi ero sicura che i miei dubbi fossero aumentati, per non parlar poi dallo strano comportamento tenuto da Damon, pochi attimi prima.
Che senso aveva avuto portarmi fin lì, quando in realtà non aveva nulla da dirmi?
Non che mi dispiacesse passare del tempo con lui, ma non mi piaceva neppure essere presa in giro ed essere comandata a bacchetta.
Tuttavia, l'unica stupida in tutta questa storia, ero proprio io, che permettevo agli altri di farmi trattare in quel modo e di farmi mettere i piedi in testa.
Non sapevo come stessero ora le cose con Jacob, da un lato volevo scusarmi con lui per essermi intromessa in qualcosa che, in tutta onestà, non mi riguardava, ma dall'altro lato, continuavo a pensare di meritare uno straccio di spiegazione.
Tolsi le scarpe, mettendole sotto al letto, non avevo sonno e la stanza era ancora vuota, ovviamente ne Tate, né tantomeno Piper, erano già rientrare.
Non sapevo che fare.
Raggiunsi il mio letto con ancora i vestiti indosso, non ero affatto soddisfatta di questa prima sera e non avevo intenzione di lasciare le cose a metà, come qualcun altro.
Mi armai di un coraggio che neppure io sapevo di possedere, rinfilando le scarpe ai miei piedi, senza neppure allacciarle per bene, per poi uscire dalla mia stanza.
Normalmente, sarei dovuta correre dal mio ragazzo e chiarire con lui, invece no, io non stavo cercando Jacob.
Non sapevo quale fosse la sua stanza ed in teoria, non mi conveniva far molto rumore se non volevo finire nei guai, ma praticamente ero così frustrata dalle sue mezze frasi, da fregarmene delle conseguenze.
Presi a bussare a tutte le stanze del mio corridoio, l'avevo visto lì quello stesso pomeriggio, quindi la sua stanza doveva per forza essere nei dintorni.
Dopo varie imprecazioni da parte di persone, che non stavano di certo dormendo nella proprie stanze, lo trovai o meglio trovai Thomas stiracchiarsi gli occhi, mentre mi guardava accigliato, poggiato allo stipite della sua porta.
"Krystal?".
"Ehm si sono io", borbottai in difficoltà.
Tutta quella sicurezza che mi aveva spinta fino a quel punto, sembrava stesse per scemare tutto d'un colpo.
"Che ci fai qui?". Chiese lecitamente.
"Cerco Damon, è qui?". Deglutì in attesa di risposta.
Mi fece un sorriso, uno di quelli di chi la sapeva lunga, ma aveva completamente travisato la situazione.
"Dam, ci sono visite per te", ammiccò nella mia direzione, prima di rientrare in camera e forse tornare a dormire.
Rimasi lì ferma ed immobile ad attenderlo, fin quando non notai un paio di scarpe, fin troppo grandi, avanzare nella mia direzione.
"Che vuoi?". Alzai lo sguardo sulla sua figura, accigliandomi per il suo tono di voce.
"Vorrei parlarti", mormorai, cercando di ritrovare quella sicurezza persa, ma quello sguardo freddo e distaccato, era in grado di mettermi a tappeto senza che alzasse un solo dito.
"Cosa dovremmo dirci io e te?". Mi guardò dal basso verso l'alto ed io mi chiesi cosa fosse successo in quella mezz'ora che eravamo stati lontani, per farlo comportare così con me.
"Ecco io..credo che...insomma non ho ben capito perché hai voluto che ti seguissi", mi stavo rendendo ridicola e ne ebbi la conferma quando una risata, per nulla divertita, lasciò le sue labbra.
"Sei davvero così paranoica?".
"C-come?". La voce rotta, ma lottai per non piangere, io non lo facevo mai e non lo avrei rifatto dopo tanti anni per lui.
"Di questo passo, anche quello sfigato si stuferà di te", ghignò.
"P-perché mi stai...mi stai trattando così?". Balbettai, non riuscendo più a nascondere quel velo di delusione che ombrò il mio viso e purtroppo ciò non sfuggì neppure ai suoi occhi languidi.
"Non ti sto trattando in alcun modo", distolse lo sguardo, passandosi nervosamente le mani fra i capelli. Tutto questo era altamente strano, volevo solo chiarezza, non chiedevo altro.
"Mi cerchi solo quando ti conviene", non riuscì a dar un freno alla mia lingua.
Ma che mi prendeva?
Avevo sbagliato, non dovevo andare lì, non dovevo andare da lui.
"Io non ti cerco", inarcò un sopracciglio, mettendo su un'espressione ai miei occhi indecifrabile, non sapevo dire se fosse seccato o divertito da tutto questo, fatto sta, che non mi piacque affatto il suo comportamento.
"Invece si, prima lo hai fatto", replicai stizzita. Forse stavo esagerando con le parole, ma non mi stavo di certo inventando tutte quelle volte che me lo ritrovavo dietro, quando ad esempio non avevo un passaggio per tornare in orfanotrofio e in altre tantissime occasioni.
"Hai molta fantasia", si poggiò contro lo stipite della porta, guardandomi in modo beffardo, mi stava prendendo in giro, come tutti.
"Lascia stare", sussurrai girandomi, pronta per tornarmene nella mia stanza e mettere un freno a qualsiasi cosa stesse nascendo dentro me nei suoi confronti.
Aveva ragione Tate, una come me non avrebbe trovato mai nulla di interessante in uno come lui.
Non riuscì a fare un passo, che mi sentì afferrare per i fianchi e trascinare all'indietro.
Stavo per urlare, quando una mano si posò sulla mia bocca e una porta venne chiusa davanti ai miei occhi.
"Shhh, stava passando la prof", bisbigliò nel mio orecchio e non mi meravigliai più di tanto, quando una scia di brividi percorse tutta la mia schiena.
"Ma che diavolo sta succedendo?". Brontolò Thomas, alzando la testa da sotto il cuscino.
Ero nella loro stanza, solo io ero in grado di cacciarmi in una situazione simile.
"Non l'avevo vista", mormorai, quando allontanò la mano dalla mia bocca, permettendomi di tornare a respirare ma non del tutto, dato che era ancora fermo alle mie spalle con le mani posate sui miei fianchi.
Rilasciai un respiro tremolante, voltandomi nella sua direzione.
"Hey mi rispondete?". Thomas agitò le braccia per farsi notare, ma noi eravamo troppo impegnati a fissarci negli occhi per poterlo anche solo sentire.
"Se vabbè, buonanotte", sbuffó, immergendosi nuovamente fra le coperte.
"Non posso stare qui", mormorai, non riuscendo ad interrompere quel legame che i nostri occhi avevano creato ed era strano quando fino a due minuti prima, ci stavamo urlando contro o meglio lui lo aveva fatto con me.
"Lo so", fu la sua riposta, prima di voltarsi e raggiungere quello che pensai fosse il suo letto.
Lo so? Quindi? Avrei voluto dire, ma nessun suono uscì dalla mia bocca per i successivi cinque minuti.
Mi guardai intorno, assottigliando l'udito.
Si sentiva ancora l'eco dei passi della professoressa per i corridoi e non mi sembrava il caso di uscire da una stanza, dove teoricamente stavano dormendo tre ragazzi.
"Cosa dovrei fare ora?". Bisbigliai, avvicinandomi di un passo a lui che stava tranquillamente smanettando qualcosa sul suo cellulare.
"Sei brava a scappare, pensa", replicò, non alzando neppure lo sguardo da quell'oggetto infernale.
"Per favore", sussurrai stanca, che pessima idea che avevo avuto quella sera.
Dovevo imparare a stare al mio posto e ad essere meno curiosa.
Il suo sguardo allora saettò sulla mia figura senza alcun preavviso.
"Fra non molto tornerà a dormire e tu potrai andartene", mormorò.
In effetti aveva ragione.
"Ok", dissi, non sapevo come passare quel tempo, lui non era di compagnia, non lo era affatto.
"Puoi sederti", disse, continuando a guardarmi seriamente. Non ero affatto a mio agio in quel momento.
"Ehm dove?".
"Qui", fece un cenno al suo letto ed esitante lo raggiunsi, mantenendo una certa distanza.
Non parlò più, l'unico rumore percepibile in quella stanza era il russare di Thomas che tutto sommato era di compagnia.
"Sei mai stato in Italia prima d'ora?".
Domandai, non riuscendo a farne a meno.
Dovevo essere arrabbiata con lui, disprezzarlo come lui aveva fatto con me, ma non ero così, io non ci riuscivo.
"No", rispose, posando il telefono al suo fianco. "Immagino sia la prima volta anche per te".
"Immagini bene", abbozzai un sorriso, giocando con dei fili di cotone che uscivano dal mio jeans, rovinato dal tempo.
"Sono stato in Spagna", disse di punto in bianco, sorprendendomi.
Non mi sarei di certo aspetta che dopo quel suo modo di fare, mi avrebbe detto qualcosa di suo.
"Com'è?".
"Caotica", girò il capo verso la finestra, dalla quale si intravedeva la luna, mi mancava tantissimo quel momento tutto mio in cui mi perdevo ad osservarla.
"Su Internet ho visto che ha dei bellissimi posti da visitare", commentai, storcendo le labbra.
"Sai usare internet, wow".
"Già non sono così stupida come sembra", mormorai, mordicchiandomi il labbro.
"Non ho detto che sei stupida", mi guardò.
"Ma lo pensi", fu la mia risposta.
"Non hai neppure idea di cosa io pensi", scosse il capo, rilasciando un lungo respiro.
"Non sei molto facile da comprendere", ammisi. "Mi confondi, molto".
"Ti confondo?". Ridacchiò. "E perché mai?".
"I tuoi comportamenti...sono strani".
"E quelli del tuo fidanzatino, no?". Assottigliò lo sguardo.
"Anche i suoi".
"Concentrati su quelli allora", sembrò infastidirsi nuovamente, con lui mi sentivo costantemente su una sorta di montagna russa, avevo sempre il fiato sospeso.
"Lo sto già facendo", risposi piccata. "Ma sembrano dipendere da te", aggiunsi, lanciandogli un'occhiataccia.
"Quel bamboccio non dipende da me, né tantomeno il contrario".
"Ma io non ho detto questo".
"Ascoltami piccoletta ho sonno, quella è la porta", sbuffó.
"Sei antipatico", sbottai, alzandomi. "E non chiamarmi piccoletta".
Scoppiò a ridere facendo mugugnare l'amico che stava ancora tentando di dormire.
"Piccola, ti ci chiama già lo sfigato del tuo ragazzo, altrimenti lo avrei fatto io", mi strizzò l'occhio. "Ah, chiudi bene la porta", aggiunse ed io mi curai di sbatterla così forte nella speranza che si rompesse.

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