Capitolo 55

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Damon's pov
Poggiai le mani sul lavandino, sospirando pesantemente.
Che cazzo stava succedendo?
Alzai gli occhi, guardando il mio riflesso attraverso lo specchio. Capelli in disordine, labbra rosse e occhi lucidi.
Merda.
Neppure una doccia, la più fredda che avessi mai fatto in vita mia, avrebbe spazzato via, la voglia che avevo di lei.
Era un inferno e il paradiso allo stesso tempo.
Vederla piangere, aveva smosso in me qualcosa di strano, che non pensavo neppure di avere. Molte cose non mi tornavano in tutta questa storia. Perché prendersela con Krystal? Nessuno, oltre i miei amici, ai quali ovviamente continuavo a negare, sapevano di quello che stava succedendo fra me e lei, che poi, neppure io lo sapevo.
Sembrava che nulla fosse cambiato al mio ritorno, e in parte era vero. I problemi che mi ero lasciato alle spalle per qualche settimana, mi stavano ancora aspettando a braccia aperte, con l'aggiunta di altri, giusto per non farci mancare nulla. Ma qualcosa era cambiato, Charlotte riteneva che io fossi cambiato, dal momento in cui Krystal aveva lasciato la Svizzera, e forse, e sottolineo forse, aveva ragione.
Avevo ricordi ben precisi di quello che era successo da quel giorno in poi, quel qualcosa che infondo, mi spingeva a cercarla ogni fottuto giorno, ogni fottuto minuto.
Lasciai l'aeroporto, e la prima cosa che feci, fu prendere a calci un auto, così dal nulla.
Riuscì a scappare in tempo, prima che il proprietario mi raggiungesse. Non potevo finire in carcere, in un momento come quello.
Tornai in albergo, la rabbia, divampava ancora nel mio petto, mi infastidiva tutto, ogni cosa; le voci delle persone, le loro facce, ma sopratutto i loro sorrisi. Che avevano da sorridere?
Litigai anche con Charlotte, dopo averla vista baciare Jared.
Quel ragazzo non andava bene per lei. Io non andavo bene per Krystal. Non era difficile da capire, ma impossibile da accettare.
Avevo capito, quel giorno, mentre si allontanava da me, che il mondo, era pieno di belle ragazze, anche se per me krystal era la più bella, ma quando quello che sentivo non si limitava solo a quello che avevo nei pantaloni, capì di avere un problema. Uno bello grosso.
Uscì da quella maledetta stanza, che profumava ancora di lei. Aveva persino dimenticano una maglia nella fretta di preparare la valigia e questo, fu un colpo davvero basso per me.
Mia sorella, sembrava preoccupata. Tornai il giorno dopo, verso le dieci del mattino. Ero stato un disastro. Non appena quella ragazza, una cubista o qualcosa del genere, mi si era avvicinata, poggiando una mano sul mio petto, mi ero come risvegliato da un incubo. Mi tirai indietro, come se mi fossi scottato, barcollando fino all'uscita di quello squallido locale. Avevo dormito in una stazione lì vicino, probabilmente la gente mi aveva scambiato per un barbone, poco mi importava. Non avevo le forze necessarie per subirmi le ramanzine di mia sorella, ma quando rientrai, dovevo aspettarmi, oltre quella, anche un forte e deciso schiaffo in pieno viso. Avevo persino sentito dolore.
"Sei un coglione", urlò. "In questo modo non risolvi nulla".
"Non c'è nulla da risolvere". Borbottai, andandomi a stendere su quel letto. Ancora peggio.
"Sei andato con un'altra?". Le sue urla mi stavano perforando il cranio, non ne potevo più. Volevo solo dormire e dimenticare quegli occhi azzurri per un paio d'ore. Non a me, queste cose non potevano succedere a me. Non ora.
"Rispondi", sentì le ruote della sua sedia stridere sul pavimento, facendomi attorcigliare le viscere. Non avevo abbastanza forza per alzarmi e andare a vomitare anche l'anima.
"No", scossi il capo, immergendolo poi nel cuscino.
Sentì la porta della stanza chiudersi, segno che quel coglione, se ne fosse appena andato.
Girai la testa, notando Charlotte, avvicinarsi al letto con un profondo cipiglio stampato in volto.
"Mi dici che succede?". Sussurrò, accarezzandomi i capelli.
"Non la sopporto". Borbottai. "Menomale che se ne è andata". Mi scoppiò a ridere in faccia.
"Wow, e se la sopportavi che facevi?".
"Non c'è nulla da ridere", la guardai male, accentuando il mio mal di testa di per se, atroce. "Ho dormito in una fottuta stazione".
"E perché?". Poggiò i gomiti sulle ginocchia, guardandomi con quel fastidioso sorrisetto stampato in volto.
"Non lo so", sbuffai. "Voglio dormire".
"Perché non la chiami?".
"Stai scherzando?".
"Ti è arrivato un suo messaggio".
"Quando?".
"Hai dimenticato il cellulare in camera ieri, prima di andare a fare il barbone".
"Stronza".
"Mai quante te", sghignazzò. "Comunque, è arrivata a Manchester, ti ringrazia per tutto quello che hai fatto per lei e ti ha augurato la buonanotte".
"Non ho fatto niente per lei", borbottai, cercando di mettermi seduto. "Dov'è il mio telefono?".
"Eccolo", me lo passò. "Dovresti risponderle".
"Non credo", mi passai una mano fra i capelli.
"Non vuoi davvero più sentirla?".
"Non ho detto questo". Mormorai, confuso.
"Beh, prima di un mese non la vedrai...quindi, pensaci bene prima di scomparire del tutto, non si sa mai che trovi finalmente un bravo ragazzo che la voglia davvero".
"Vaffanculo Charlotte".
"Ti voglio bene anch'io, Dam".
Quella notte fu un inferno, e in quelle fiamme che avvolgevano la mia mente, le scissi il primo messaggio.
Il primo di mille e trecento messaggi che ci scambiammo in quel mese.

SweetWhere stories live. Discover now