Capitolo 74

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"È tutto pronto", bisbigliò Tate nel mio orecchio. Aveva la brutta abitudine di dirmi le cose, sempre mentre il professore ci stava guardando.
"Ok", sospirai, agitandomi inutilmente. Era solo il mio compleanno, nulla di che. Un giorno che ogni anno, trascorrevo nel modo più semplice possibile, ma ero sicura che quest'anno, non fosse lo stesso. Erano cambiate tante cose e non sapevo proprio cosa aspettarmi da quel giorno.
"Sicura di non volerlo dire a Damon?".
"Non lo so", sbuffai. "Pensavo di dirgli che tu hai organizzato una festa...così..".
"Ti senti in colpa?". Mi punzecchiò.
"Più che in colpa, ecco...mi piacerebbe che il mio ragazzo sapesse del mio compleanno". Borbottai.
"E perché non glielo dici?". Domandò con tono ovvio.
"Beh, potrebbe anche chiedermelo lui", sbottai e lei scoppiò a ridere.
"Non ti facevo così...insicura".
"Non sono insicura, solo che....non me lo hai mai chiesto e...non lo so", sbuffai. Forse aveva ragione Tate, ero insicura e molto, molto paranoica. Fra me e Damon, le cose stavano andando davvero bene. Da quel pranzo, nel quale mi aveva fatto battere forte il cuore con le sue parole, era passata una settima, una settimana nella quale non era passato un sol giorno, senza che ci vedessimo. Era dolce con me, mi coccolava, mi riempiva di attenzioni anche quando doveva lavorare, e sopratutto mi teneva al corrente quando incontrava Green. Era cambiate davvero tante cose, lui tanto, e mi piaceva ancora di più. I vecchi litigi, il modo in cui mi trattava e cercava sempre di allontanarmi, erano solo un lontano ricordo. Amavo davvero tanto, quando la sera, dopo aver fatto l'amore, a modo suo, mi sussurrava quanto fossi importante per lui. Adoravo quando cercava di mascherare il suo imbarazzo, non era abituato a tutto questo ed ero felice, che almeno in qualcosa, io rappresentassi una prima volta per lui.
"Manca un giorno, su resisti amica. Pensavo volessi vendicarti". Ammiccò.
"Mi sembra un'idea stupida ora".
"Certo che no, la tua insolenza lo fa impazzire infondo", arrossì. Forse avrei fatto bene ad evitare di raccontarle alcuni dettagli della nostra vita intima.
"Mh", borbottai, poggiando la testa sui libri. "Mi manca", sbuffai. "Lavora fino a stasera".
"Credi che verrà prima della mezzanotte?".
"Lo spero", sussurrai, guardandola. "Sarebbe triste se così non fosse".
"Puoi venire a dormire da me stasera?". Propose.
"E se poi viene?".
"Giusto", ridacchiò. "Sono sicura che arrivi in tempo".
"Grazie Tate, per la festa intendo. La Morris non se lo aspettava".
"Dici che si offende che non l'ho invitata?".
"Ma no, sa che è una festa...di ragazzi. Mi tirerà le orecchie la mattina", la tranquillizzai. E lo faceva sul serio, ogni anno.
"Mh, immancabile", ridacchiò.
Sospirai, quando la campanella dell'ultima ora suonò.
"Hai un costume Kry? E non uno di quelli sportivi". Precisò.
"Ehm, no. Quelli vecchi non mi entrano più".
"Perfetto", sorrise a trentadue denti. "Non preoccuparti, ci penso io".
"Tate", la guardai preoccupata invece. "Che intenzioni hai?".
"Tranquilla", poggiò una mano sulla mia spalla. "Ti conosco, non esagererei mai".
"Lo spero", borbottai, lei sorrise e questo, non era affatto rassicurante.
Uscimmo dall'aula, percorrendo il solito corridoio fino al nostro armadietto e mi trovai a pensare che questo era l'ultimo anno per Damon. Sarebbe stato strano senza di lui, senza vederlo ogni giorno camminare con la sua espressione strafottente. In un certo senso, non mi ci vedevo neppure io più qui, e non ne sapevo il motivo. Era solo una sensazione.
"Allora ci vediamo domani?". Disse, afferrando dallo zaino, le chiavi dell'auto che i suoi genitori le avevano regalato.
"Si", sorrisi. Era sabato, quindi ci saremmo riviste direttamente alla festa, alla mia festa. Thomas lo sapeva, Jared, Charlotte, Luke e tutti gli altri pure.
Sorrisi, al ricordo della complicità che avevo trovato in Charlotte.
Ben gli sta a quello stronzo. Aveva detto.
"Ciao tesoro", mi salutò con un bacio, prima di andar via.
Presi un lungo respiro, avviandomi alla fermata. Era come se, non fossi più abituata a camminare da sola, dopo tutti quei giorni, passati sempre al suo fianco. Damon, non mi lasciava mai sola, sembrava quasi che lo infastidisse dover andar a lavoro, ma doveva farlo, almeno fin quando, non avesse preso una decisione. A proposito di quello, non gli chiedevo mai nulla, non gli mettevo pressione e cercavo sempre di non sfiorare l'argomento, non perché non lo volessi, anzi, ma cercavo di fargli prendere la scelta giusta solo amandolo ogni giorno, dimostrandogli anche con piccoli gesti, quello che avremmo potuto costruire insieme e sembrava che a lui, tutto questo piacesse molto.
Le sue braccia, strette a me ogni notte, mi dimostravano che ero io, quello che lui voleva. I suoi baci, il modo in cui facevamo l'amore, me lo dimostrava.
Mi guardava, come se fossi tutto per lui, a volte, nei momenti in cui perdeva il controllo, me lo diceva anche ed era così bello, quando si lasciava andare.
Mi sentivo speciale per lui, per la prima volta nella mia vita, sentivo di essere arrivata al cuore di qualcuno, anche se quello, non me lo aveva ancora detto e neppure io a lui, ma era davvero solo questione di tempo, affinché gli urlassi quanto lo amassi.
Presi posto infondo al bus, poggiando la testa contro il finestrino e mettendo subito le cuffie alle orecchie.
Era incredibile il modo in cui l'amore potesse influenzare l'umore delle persone. Solo quando si stava insieme, ero davvero felice. Il resto del tempo, aspettavo solo di rivederlo e contavo le ore, i minuti e i secondi che mi dividevano da lui. Dipendevo da Damon, era questa la verità.
Sorrisi, quando lo schermo si illuminò, era lui, preciso come un orologio svizzero.
Dove sei piccola?
Era bello avere qualcuno che si prendesse cura di me, anche a distanza.
Afferrai lo zaino, notando che fosse arrivata la mia fermata, scendendo dal bus.
Sono appena arrivata in istituto, tu?
Avrei tanto voluto chiamare Damon in un modo molto particolare, ma me ne vergognavo e non sapevo come lui avrebbe potuto prenderla, volevo andarci piano, nessuno dei due era abituato a tutto questo e non volevo spaventarlo con parole troppo importanti.
Alzai lo sguardo, per raggiungere il cancello principale, ma qualcosa, attirò la mia attenzione, facendomi bloccare sui miei passi.
Un uomo, che avevo già visto, era fermo sul marciapiede di fronte a quello dove ero io e mi stava guardando. Mi stava letteralmente fissando.
Ero lo stesso che avevo incontrato all'angolo della strada, quando avevo visto quel giornale. Mi guardai intorno, cercando di capire se ci fosse qualcun altro che stava guadagnando, ma nulla, eravamo soli e mi incuteva un certo terrore. Evitai di far vincere la mia curiosità, girandomi e entrando in casa. Quando salì le scale, arrivando in camera mia, sbirciai oltre la finestra, ma lui non c'era più.
Scossi il capo, cercando di scollarmi di dosso la brutta sensazione che quello strano incontro mi aveva lasciato, poteva anche essere un povero signore con qualche problema mentale e io, invece, l'avevo subito giudicato in un altro modo, eppure, qualcosa non mi tornava. Quello sguardo, a me ricordava qualcos'altro, ma non sapevo dire bene cosa.
Mi poggiai sul letto, sfilando le scarpe, dovevo studiare, ma stranamente non ne avevo voglia.
Al campo di basket, cerco di liberarmi il prima possibile.
Sorrisi ancora, era questo quello di cui avevo bisogno.
Ti aspetto x. Scrissi, mettendomi su un fianco, poggiai il telefono sotto il cuscino, chiudendo gli occhi solo per cinque minuti, che si trasformarono ben presto in ore.

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