Capitolo 29

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Sentivo il suo respiro, sbattere sul mio collo, mentre io, continuai a piangere sul suo, per un tempo indefinito.
Mi strinse a se, senza chiedermi nulla, nonostante sapessi che stesse morendo dalla voglia di sapere cosa fosse accaduto.
Era così irrequieto, mentre muoveva sue e giù le mani, sulla mia schiena.
Mi allontanai di poco, ma restando sempre abbastanza vicina, nel calore delle sue braccia.
"Non voglio insistere, ma devi dirmelo", sussurrò serio, passandosi poi una mano fra i capelli.
Sorrisi fra le lacrime per le parole che aveva usato, mi sentivo così debole ed esposta ai suoi occhi, ma era bella la sensazione che questa cosa mi dava.
Non mi sentivo giudicata, non mi sentivo compatita, non avevo vergogna a mostrarmi in quel modo a lui.
"H-ho un problema che...che, insomma non è nulla di grave", sospirai, il suo sguardo ancora corrucciato, mentre cercava di capirci qualcosa. "Non potrò avere figli, un giorno", distolsi lo sguardo dal suo così...strano.
Silenzio.
Imbarazzata, mi spostai un po.
Forse era stato un errore raccontargli qualcosa di così intimo, forse non gliene fregava neppure e aveva trovato la mia reazione stupida ed esagerata.
Forse, per lui, lo avevo fatto preoccupare inutilmente.
Deglutì, pronta a comunicargli che dovevo andarmene, ma mi bloccai, quando le sue mani cercarono le mie.
"È ingiusto", la mia testa scattò nella sua direzione. I suoi occhi, mi stavano già aspettando, non ci leggevo pena e di questo, ne fui sollevata. Era l'ultima cosa, di cui avessi bisogno. "Ma chi meglio di te, sa che ci sono migliaia di bambini che cercano famiglia", sorrisi.
"Hai ragione", le sue dite solleticarono le mie, facendomi ridacchiare.
"Devo solo abituarmi all'idea", scrollai le spalle.
"L'importante è che tu stia bene", sussurrò, il tono greve, profondo, non smettendo di guardarmi per un solo istante.
"S-si, sto bene", non era del tutto vero, ma col tempo, avrei imparato ad accettare questa cosa, per quanto dura fosse.
Per una donna era sempre difficile, ma non ero né la prima, ne l'ultima, purtroppo.
"Si è fatto tardi", aggiunsi, guardandomi intorno, era buio da un pezzo e non volevo che la Morris si arrabbiasse, era stata già abbastanza gentile da darmi un silenzioso permesso di incontrare Damon, come se sapesse che era di lui, che avessi bisogno.
"Quindi sei scappata di nuovo?". Inarcò un sopracciglio. Le nostre mani ancora unite.
"No, in realtà è stata lei a darmi il permesso di incontrarti..sai, per il telefono", mormorai, abbassando lo sguardo.
"Mi sento ispirato", disse di punto in bianco. "Hai una penna?".
Allontanai, riluttante le mani dalle sue.
"Credo di sì, controllo", aprì la mia borsa, guardandoci dentro.
"Ecco", dissi, porgendogliela. Mi alzai, dovevo davvero andare, ma la sua mano finì sulla mia caviglia.
"Devi restare altri quindici minuti", mi guardava dal basso con quegli occhioni blu, che avrei riconosciuto anche se non ci fosse stato quell'unico palo della luce ad illuminare la zona.
"Devo?". Ridacchiai.
"Dopo ti riaccompagno io", sembrò quasi un ordine il suo,  che in quel caso avrei accettato senza indugio.
"Mh, che devi fare?". Mi abbassai sulle ginocchia.
"Stenditi".
"C-cosa?". Balbettai.
"Fidati", sussurrò. "Sono ispirato, te l'ho detto".
Spalancai gli occhi e lui scoppiò a ridere.
"Tranquilla, in quel caso, avrei usato altre parole", ridacchiò, quando lo colpì sul braccio.
Mi stesi, felice di aver indossato dei pantaloni quel giorno.
"Ti sporcherai un po", disse, aprendo la zip del cappotto che indossavo, per poi sollevare il maglione rosso di poco.
"Freddo?". Alzai la testa, notando che avesse appena tolto il tappo dalla penna nera che gli avevo dato.
"No", mentì, ero troppo curiosa di vedere cosa avrebbe fatto.
Trattenni il respiro, quando la punta della penna, si posò sul mio basso ventre, iniziando a tracciare un percorso, che non riuscì a capire. Sembrava così concentrato mentre lavorava sulla mia pancia, così esperto, preciso, meticoloso.
"Non muoverti", soffió, facendomi rabbrividire.
Non risposi, cercando di calmare i battiti nel mio cuore.
Era una situazione fuori dalla norma, almeno per me.
Tutto questo era così, forte, intenso, sensuale.
Chiusi gli occhi, poggiando la testa sul pavimento, infischiandomi della polvera che c'era.
Lui, continuò silenzioso il suo lavoro. Non sapevo quanto tempo ci avesse impiegato, ma dopo poco, avvertì la sua assenza, così apri gli occhi, notando i suoi, fissi, su qualunque cosa avesse disegnato sul mio corpo.
"Posso guardare?". Poggiai le mani sul terreno, per darmi una spinta.
"Fallo asciugare", mi spinse delicatamente all'indietro, facendomi ritrovare nuovamente con le spalle a terra.
"Hai i brividi", disse.
"Fa un po' freddo", mentì, in quel momento, era l'ultimo dei miei problemi.
"Puoi alzarti", disse dopo qualche secondo di silenzio.
Lo feci, mantenendo ancora la maglia alzata sul mio ventre. Restai senza parole, non avevo mai visto nulla di più bello, realizzato poi, in così poco tempo.
"Hai davvero talento", dissi, dopo essermi ripresa dal mio stato di shock. "È stupendo".
Avvicinai la mano a quel lupo, con il muso rivolto all'insù, verso una luna piena, perfettamente definita in tutte le sue sfaccettature.
"Ti riaccompagno", disse alzandosi.
Sembrava rilassato, sereno e inoltre, avevo visto quel sorriso che tentava in ogni modo di nascondere. "Meglio non far arrabbiare Crudelia", aggiunse, tendendomi la mano che afferrai subito.
"Cosa significa? Quello che hai disegnato", precisai, sbattendo i palmi della mano sul mio pantalone per ripulirmi dalla polvere.
"Molte cose", lo seguì, riconoscendo da lontano la sua moto nera.
"Dovresti essere più preciso".
"Leggi fra le righe, krys", replicò con un sorrisetto beffardo, stampato in viso.
Montò in sella, dandomi come al solito, il suo casco.
"Dovresti davvero comprarne due", dissi, infilandolo, era inutile discutere, sapevo già che mi avrebbe costretta ad indossarlo.
"Ho il cappello", mi guardò con la coda dell'occhio.
"Ladro di cappelli", sbuffai, facendolo sorride per davvero, stavolta. E non solo di quello, avrei voluto aggiungere.
Aveva preso il mio cuore, senza alcun permesso e forse quello era il furto più pericoloso che avesse mai potuto fare in vita sua.
Allacciai le braccia al suo corpo e mi meravigliai dell'andatura alla quale stava procedendo. Normalmente correva, tanto, troppo, ma non quella volta.
Quella volta, infatti, dava tutta l'impressione di avere fretta di lasciarmi andare.
La moto rallentò al solito posto, scesi, slacciando il casco. Ero in imbarazzo, non sapevo cosa dire.
L'unica cosa di cui ero certa, era che lui aveva reso senz'altro, quella giornata migliore. Aveva asciugato le mie lacrime con poche parole e non pensavo fosse possibile.
"Ehm grazie...per tutto", gracchiai, giocherellando con i polsini del mio cappotto.
"Ah, devo ridarti...".
"Ti ho già detto che non lo voglio". Le mani sul manubrio, mentre continuava a fissarmi.
"Ma non posso tenerlo, la Morris non vuole e poi, non credo che da ora in poi mi servirà molto...parlavo solo con te..", mi morsi la lingua, quando mi resi conto di quello che avevo detto. "Voglio dire, non mi sembra giusto lasciare un telefono del genere, chiuso in un cassetto". Mormorai.
"Allora non farlo", sussurrò. "Puoi sempre dire a Miss simpatia, che me lo hai ridato".

SweetTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon