Capitolo 31

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La sveglia suonò alle sei del mattino, non avevo ancora capito perchè la Morris, avesse deciso di partire a quell'ora, ma ormai il tempo delle domande, era scaduto, così mi feci coraggio, scostando le coperte dal mio corpo.

La valigia era pronta, tutto lo era, tranne io. Sarei stata via per pochi giorni, eppure avevo una strana sensazione all'altezza dello stomaco, che non mi permetteva di star tranquilla.

Infilai il cappotto, uscendo dalla mia stanza, nella speranza, che al mio ritorno, sarei potuta tornare a dormire con Tate.

"Buongiorno", salutai tutte, sedute sul divano, mentre la Morris, trascinava la sua valigia sull'uscio della porta.

"Buongiorno cara", mi sorrise. "Dai andiamo, abbiamo tante cose da fare", non avevo idea di cosa intendesse con, tante cose da fare, ma ben presto ci avrei capito qualcosa, così dopo un ultimo sguardo generale, la raggiunsi.

"Come andremo a Londra?". Eravamo sul ciglio della strada ad aspettare, non sapevo bene cosa.

"In treno", rispose. "E' molto più tranquillo dell'aereo", deglutì pesantemente, cercando di non farmi scappare il fatto che, in realtà, io un treno, una volta, l'avevo già preso.

"Oh si, va bene", mormorai, portando lo sguardo sulla strada, mi sentivo malinconica, senza alcun motivo. Probabilmente, anche se fossi rimasta qui a Manchester, non l'avrei visto ugualmente per un bel pò, lui era fatto così ed io, non dovevo avere ripensamenti a riguardo. Questa distanza, mi avrebbe fatto bene, dovevo vederla in questo modo e tutto sarebbe andato per il verso giusto.

Cinque minuti dopo, un taxi, si fermò dinanzi a noi, da lì iniziava il nostro viaggio, che ad ogni modo, avrebbe segnato una svolta nella mia vita, positiva o negativa che sia.


"Vedrai che ci troveremo bene dai signori Wilson".

"Sono suoi amici?". Domandai, mentre aspettavamo che qualcuno ci venisse ad aprire la porta.

"Si, la loro figlia è stata adottata molti anni fa".

"La conosco?". Il rumore dei passi che si faceva sempre più vicino.

"No, ha un anno in più ed è stata adottata che era ancora in fasce".

"Miss Morris", una donna bionda, sulla cinquantina e con un impeccabile accento inglese, ci venne ad aprire, la loro casa era stupenda dall'esterno ed ero sicura, che gli interni, non sarebbero stati da meno.

"Clelia, che piacere", si abbracciarono dolcemente, prima che gli occhi di questa donna, ricadessero su di me. "Tu devi essere Krystal".

"Sono io", mormorai in imbarazzo.

"Ma prego, accomodatevi pure", ci fece segno di entrare e per poco la mia mascella non toccò terra.

La prima cosa che i miei occhi riuscirono a vedere, fu l'immensità di quel salone, che urlava lusso da ogni millimetro che lo componeva.

Raggiungemmo il divano in pelle nera, lasciando i nostri bagagli al suo fianco.

"Ci penserà il fattorino", disse Clelia. "Vi faccio subito portare qualcosa da bere".

"Acqua per me", mi anticipò la Morris.

"Anche per me", mi aggiunsi.

"Oh, va bene", sorrise mesta urlando un nome, che non riuscì a capire, ma quando una donna, che indossava una sorta di uniforme che fino a quel momento, avevo visto solo nei film, ci si avvicinò, capì che si trattasse di una cameriera.

"Porta dell'acqua alle nostre ospiti", quella donna annuì, andando via. Era tutto così serio lì dentro.

"Ho parlato con mio marito", Clelia mi guardò. "E' un esperto in casi come il tuo".

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