Capitolo 80

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Era tutto già finito e non ero affatto pronta a tornare a casa.
Recuperammo le nostre valigie, uscendo dall'aeroporto. Entrambi, eravamo stati fin troppo silenziosi durante il viaggio. Avevo finto di dormire per qualche ora, lui no, aveva passato quelle dieci ore teso come una corda di violino. Qualcosa era successo e il fatto che non mi avesse detto nulla, se non che si trattava di lavoro, mi aveva ferita. Questo viaggio e tutto quello che era accaduto in quei tre giorni, avevano significato tanto per me, e non volevo che facessimo altri mille passi indietro, ora. Durante quelle ore, spesso sentivo i suoi occhi posarsi sulla mia figura, non aveva smesso di abbracciarmi neanche per un minuto. Qualcosa lo turbava, e volevo saperlo, ma allo stesso tempo volevo che me lo dicesse di sua spontanea volontà. Non dovevo obbligarlo.
"C'è Jared", disse in tono piatto, indicando un auto nella quale il suo amico ci stava aspettando.
Annuì appena, quando entrammo, però notai una cosa che mi fece andare su tutte le furie, aveva fatto cenno a Jared di starsene zitto e lo stesso feci anch'io. Se voleva rovinare la nostra vacanza, ci era appena riuscito.
"Ciao Jared", borbottai, mettendomi dietro di lui.
"Ciao Krystal", mi sorrise, stranamente, ma non ricambiai. Damon al suo fianco e così tornammo alla base.
"Dove...".
"In istituto", rispose Damon, prima che l'amico continuasse la domanda. Mi morsi la lingua per evitare di mettermi ad urlare. Odiavo quando si comportava in questo modo con me.
Immaginavo, anzi ero sicura che fosse successo qualcosa di molto grave per provocargli una reazione simile ma non poteva scaricare tutto questo su di me, doveva parlarmene, l'avrei aiutato, ma in questo modo, da solo, non sarebbe andato da nessuna parte.
Ci avrebbe solo fatto del male.
L'auto rallentò, fermandosi poi fuori il cancello del mio istinto.
"Grazie del passaggio", dissi, aprendo la portiera.
Vidi Damon scendere, mentre io ero già quasi arrivata al portone.
"Che ti prende?". Spalancò le braccia.
"Potrei farti la stessa domanda, ma non risponderesti", borbottai, cercando la chiave nella mia borsa.
"Krystal", sospirò, afferrandomi per un braccio. "Sto solo cercando di...".
"Mi stai mentendo ancora", lo guardai e lui distolse lo sguardo.
"È lavoro, non devo dirti tutto quello che faccio, puoi immaginarlo anche da sola", sbottò.
"Come vuoi", mi liberai della sua presa, ma lui mi bloccò di nuovo.
"Perché ti sei incazzata ora?". Era serio?
"Perché sei strano e non penso che si tratti di un lavoro come un altro", trasalì. "Non sono stupida Damon".
"Non l'ho mai detto", continuava a non guardarmi.
"C'entra...Green?".
"No", rispose subito.
"Preferirei che tu me lo dicessi".
"Ti ho detto di no". Quasi urlò, per me quello era un gran si invece, eppure c'era quella parte di me, forse la più ingenua, che gli credeva. Sapeva quanto mi preoccupassi quando era con quell'uomo. Certo era il suo capo e questo non sarebbe cambiato a breve, ma ero più che sicura che per i nostri problemi, non avrebbe di certo chiesto aiuto a lui e questo mi tranquillizzava.
"Va bene", sussurrai. "Devo andare".
Rilasciò un lungo respiro, abbassandosi alla mia altezza.
"Ti amo, vorrei poter stare ancora con te".
"Ti amo Damon", mi poggiai al suo petto quando mi circondò con le sue braccia. "Mi dispiace, solo che....mi preoccupo".
"Lo so", mi strinse più forte. "Ti chiamo dopo".
"Ok", annuì, schiudendo le labbra quando mi baciò, così...all'improvviso.

Damon's pov
Aspettai che krystal entrasse, prima di tornarmene in auto.
"Allora?".
"Come è andata?". Sghignazzò Jared.
"Non ora", mi passai le mani fra i capelli. "È tutto pronto?".
"Lo è", tornò serio. "Sei sicuro di volerlo fare? Insomma...rischi".
"Sono sicuro". Asserì deciso.
"Ricattarlo per farti aiutare, non ti garantirà una vita facile...dopo".
"Neppure stare al suo servizio, mi garantirà la vita eterna".
"Pensavo non volessi più vendicarti", mise in moto, immergendosi in strada.
"Non mi sto vendicando infatti. Jacob e Piper non avranno problemi, purtroppo. La mia, è più un'assicurazione, un modo per tenerlo buono".
"E credi che funzionerà?". Sbuffò una risata.
"Si".
"Io penso di no".
"Beh, non ho altra scelta", serrai la mascella. "Non posso parlargli di krystal senza assicurarmi che poi, posso anche difenderla".
"Green...non sarà il tuo cagnolino".
"Mi deve solo questo favore, poi sparirò".
"Con la sua reputazione fra le mani, non te ne andrai così facilmente e poi...c'è ancora la questione dei nostri genitori da risolvere".
"Ora non m'importa".
"Lei lo sa?".
"No, e non deve saperlo", lo guardai. "Quindi...nessuna battuta e non pensare neppure lontanamente di nominare Green".
"Non la prenderà bene".
"Non verrà neppure a saperlo, voglio solo assicurarmi che gli assistenti sociali la lasciano in pace almeno fin quando non potremmo andarcene".
"Quando?".
"Non appena avrà compiuto diciotto anni".
"Perché non prima?".
"Perché lo so io".
"Antipatico", ridacchiò, io non ne avevo alcuna voglia. Sapevo di aver rovinato tutto con il mio atteggiamento del cazzo, ma sapere che Green avesse chiesto di me e che si fosse addirittura presentato sotto casa mia, mi aveva letteralmente sconvolto. Non l'aveva mai fatto, sapeva dove abitavamo, ma non l'aveva mai fatto.
"Sicuro che non abbia visto Charlotte?".
"Certo, c'ero anch'io". Mi guardò serio.
"Bene". Sospirai pesantemente. Avrei pagato oro per poter restare lì ancora qualche giorno.
"Vuoi andarci subito...o vuoi passare prima per casa?".
"Subito", mi rilassai, per modo di dire contro lo schienale del sediolino. Non potevo perdere altro tempo, dovevo agiare e farlo in fretta.
"Come vuoi", sapevo che non fosse d'accordo, come sapevo i rischi che correvo anch'io, non era un incontro qualunque, stavo praticamente andando a ricattare l'uomo più potente di tutta Manchester, affinché contattasse le persone giuste per togliere krystal dai guai, senza che poi, né creasse altri anche a noi. Non avevo la certezza che questo incontro andasse così come lo avevo progettato, forse, avrei dovuto dire qualcosa in più a krystal, ma non ne avevo il coraggio. La verità, era che mi sentivo in colpa per molte cose, ma la sua sicurezza veniva prima di tutto. Se fosse venuta a scoprire quello che avevo fatto o meglio, che stavo per fare, si sarebbe arrabbiata tantissimo, non mi avrebbe perdonato, ma lo stavo facendo per lei, solo ed unicamente per lei.
"Oltre questo....vi siete divertiti?". Sospirai, ero quasi geloso di quei giorni con lei e avrei voluto tenere il loro ricordo solo per me, ma forse parlarne mi avrebbe fatto calmare.
"Si...molto", non ero abituato a parlare delle mie cose private anche perché non ne avevo mai avute. Per me esisteva il lavoro, la famiglia e miei amici, e loro, facevano parte di tutte e tre le cose.
"Sei andato a Las Vegas con la tua ragazza....non hai altro da aggiungere?". Mi guardò con la coda dell'occhio.
"Sarei rimasto ben volentieri lì", borbottai, passandomi le mani fra i capelli.
"Non farti cavare le parole di bocca", sbuffò. "Cosa avete fatto di pazzo?".
Presi un colpo di tosse, mi imbarazzava e infastidiva allo stesso tempo parlare di me e krystal, eppure volevo dirlo. Mi piaceva dirlo.
"Ci siamo sposati".
"Cosa?". Inchiodò, e per poco non andai a sbattere contro il cruscotto.
"Ci siamo...".
"Sul serio?". Sgranò gli occhi.
"Non proprio", mi grattai la nuca, non guardandolo neppure.
"Aspetta".
"Perché ti sei fermato?".
"Vi siete sposati...a Las Vegas, in pratica non vale?".
"Beh, no". Perché mi dava fastidio questa cosa?
"Ah, ecco. Mi sembrava strano", sghignazzò.
"Cosa hai da ridere?". Lo guardai male.
"No, nulla", stava ancora ridendo. "Voglio dire...ti conosco, non sei il tipo da...matrimonio".
"E tu che ne sai?". Sbottai, mi guardò strano.
"Vi siete sposati davvero?". Sgranò gli occhi.
"No, ma non è questo il punto. Perché credi che io non possa sposarmi sul serio?".
"Mi stai davvero chiedendo una cosa simile?". Era sconvolto.
"Si, l'ho fatto", borbottai. "Quindi?".
"Beh, amico....non saprei", si grattò la nuca. "Ti conosco da una vita, ma ora...ho qualche dubbio che tu sia la stessa persona", ridacchiò.
"Infatti non lo sono", il tono serio.
"Lo vedo", sussurrò fra se e se. "Comunque...mi sembri felice, quindi è ok".
"Non che avessi bisogno della tua approvazione, ma è ok".
"Un modo alternativo per ringraziarmi?". Sghignazzò.
"Non sono ancora caduto così in basso".
"Beh, menomale...manca solo che ti tatui il suo nome", lui rise ancora e anch'io, ma per un motivo totalmente diverso. Potevo sembrare un pazzo, ma amavo il bruciore del tatuaggio appena fatto, mi sarebbe quasi mancato quando poi sarebbe svanito.

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