Capitolo 58

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Non esistono parole che possano descrivere quello che provavo in quel momento, mentre la sua mano stringeva sempre più forte la mia, mentre le sue labbra posavano languidi baci sul mio collo, mentre le sue braccia mi tenevano stretta a se e i nostri corpi si muovevano lentamente fra la folla.
Le sue dita erano pura magia, mentre tracciava linee immaginarie lungo tutta la mia schiena, non c'era bisogno di baci, non sempre almeno, per confessarci quello che stava accadendo fra di noi, di cui, ero sicura, anche lui se ne fosse accorto e se serviva l'alcol, per far sì che gettasse via quell'odiosa maschera che si ostinava a portare in mia presenza, l'avrei fatto ubriacare ogni volta, con la speranza che un giorno, quelle labbra, avrebbero detto le stesse cose anche da sobrio.
"Dam", sobbalzammo, quando la voce allarmata di Thomas, giunse alle nostre orecchie. Riluttante, allentò la presa sul mio corpo, ma senza mai lasciarmi del tutto.
Era questo che intendevo.
"Che succede?". Borbottò, avevo l'impressione che un forte mal di testa lo stesse per colpire.
"I falcones sono qui".
"Cosa?". Sembrò essersi risvegliato da un brutto sogno.
"Questo è territorio neutro", poi un altro ragazzo, che avevo visto prima in compagnia di Dam, si avvicinò.
"Non ho capito perché ti scaldi tanto, qual'è il problema?", lo sguardo di Dam, si posò su di me, così come anche quello di Thomas, e mi sembrò quasi surreale il fatto che in quel momento, non avessi paura della presenza in quella sala di coloro che che avevano sparato.
"Andiamocene", afferrò la mia mano nella sua, ma Thomas ci bloccò.
"Sono all'ingresso, andiamo su". Damon annuì, quel ragazzo, di cui ancora non conoscevo il nome, continuava a chiedere spiegazione, ma dopo una sorta di ringhio che uscì dalla gola di Damon, capì che era meglio restare in silenzio, camminando dietro di noi.
Dam mi afferrò per i fianchi, facendomi camminare davanti a lui, le sue braccia erano una sorta di scudo fra tutta quella massa completamente impazzita, non avevo idea di dove mi stessero portando e quando vidi un ascensore, abbastanza vecchia, mi bloccai sui miei passi.
"Perché c'è un ascensore in una discoteca?".
"Tranquilla", sussurrò, spingendomi in avanti.
"Non possiamo usare le scale?". Ma eravamo già dentro. Andai a mettermi in un angolino, mentre Dam, spiegava a Thomas e a quel ragazzo, un piano, che però io non riuscì a sentire.
Mi parve di captare la parola foto, qualcosa del genere, ma non credevo stessero più parlando di me.
Poi Damon  si girò, avanzando nella mia direzione, poggiandosi contro la parete alle sue spalle, sembrava esausto.
"A che piano dobbiamo andare?".
Erano già passati troppi secondi in quella sorta di scatola per topi.
"Quinto", mi guardò con la coda dell'occhio, in quel modo così sexy, da farti venir voglia di saltargli addosso e probabilmente l'avrei fatto, se fossimo stati soli, ma poi qualcosa accadde, e il panico ebbe la meglio su di me.
"Ma che cazzo", sbottò Thomas. "Questo catorcio ha gli anni di mio nonno".
"Dimmi che non è vero?". Guardai Damon spaventata come non mai, non poteva succedere una cosa simile, non a me, non ora.
"Non è vero", ridacchiò, poi allungò una mano nella mia direzione, attirandomi verso di se. Mi appoggiai con il capo al suo petto, lo sentì trattenere il respiro per qualche secondo, prima di accogliermi ancora fra le sue braccia.
"Potrei sentirmi male Dam", piagnucolai come una bambina di cinque anni sulla sua spalla.
Lui sorrise fra i miei capelli, e forse quello sarebbe stato il motivo del mio malore.
"Meglio di no krys. Sto messo male anch'io. Potrei aver bisogno di te". Sussultai per quelle quattro parole, e sperai che non se ne fosse accorto. Sicuramente non avevano il significato che gli avevo attribuito io.
"Ma quanto hai bevuto?". Alzai il capo, scontrandomi con i suoi occhi lucidi e stanchi, ma ugualmente belli come il mare.
"Sei, sette bicchieri, che importa", scrollò le spalle.
"Al tuo fegato importa eccome", lo ammonì con lo sguardo.
"Solo al mio fegato?". Alzò un angolo delle sue labbra, ma continuò per mia fortuna. Non avrei saputo cosa rispondere.
"Perché a quanto ho visto, te ne sei approfittata abbastanza della mia poca lucidità".
"Non è vero", sbottai. "Non ho fatto nulla".
"Certo", ridacchiò, mordicchiandosi il labbro.
"Che facciamo?". Domandò quel ragazzo senza nome. "Dovrei pisciare".
"Che finezza", commentò Thomas. "Se non l'hai vista, c'è una donna qui".
"Certo che l'ho vista", si girò, guardandomi. "Ora capisco perché Damon non scopa più da mesi ormai...".
"Chiudi quella fogna", sbottò il moretto alle mie spalle.
"Non ho detto nulla di male", alzò le mani in segno di resa. "Voglio dire, wow...sei bellissima krystal".
"Ehm, grazie...".
"Tony, sono Tony", allungò una mano nella mia direzione, ma prima che potessi stringergliela, Damon, si staccò da quel muro, parandomisi davanti.
"Anziché, rischiare di beccarti un bel pugno in faccia, pensa a come uscire da qui dentro".
"Non sono un mago amico", sghignazzò. "Abbiamo già premuto l'allarme tre volte, ma dubito che con quel casino, qualcuno ci abbia sentiti".
Sospirai pesantemente, per la mia ansia, questa non era di certo una bella notizia.
"Prima o poi ci tireranno fuori", disse Thomas, guardandomi.
"Corinne?". Domandai.
"Con Luke e Tate". Sbuffò. "Vorrei avvisarla, ma qui non c'è campo".
"Neanche a me", sussurrai afflitta, quando controllai anche il mio di cellulare.
"Dobbiamo solo aspettare", Damon tornò al mio fianco, ma sedendosi stavolta, lo stesso fecero gli altri due.
"Vieni qua", sussurrò, facendomi cenno di sedermi fra le sue gambe, e lo feci. Era forse ancora ubriaco?
Probabile, Damon non avrebbe mai fatto determinate cose davanti ai suoi amici.
Titubante, appoggiai la schiena contro il suo petto, e quando la sua mano circondò la mia vita, poggiandosi sul mio ventre, mi rilassai.
Relativamente parlando, perché con lui, il batticuore non mancava mai.
"Facciamo qualcosa, mi annoio", sbuffò Tony, poggiando la testa contro la parete alle sue spalle.
"Se stai zitto è meglio", sbottò Dam, portandosi una mano in testa.
"Non ti senti bene?". Mi girai di poco, vidi i suoi lineamenti addolcirsi.
Era così...carino.
"Nella tua magica borsetta, c'è qualcosa per i mal di testa?".
"Si".
"Davvero?". Strabuzzò gli occhi.
"Certo, li porto sempre per Tate", scrollai le spalle, afferrando ciò di cui avevo bisogno dalla mia borsa.
""Ne hai uno anche per me?". Domandò Tony.
"Ne ho una scatola intera", né porsi uno per ciascuno, dato che alla fine, anche Thomas, ne aveva bisogno.
"Dam".
"Che vuoi Tony?". Sbuffò, riportando la sua mano dove era prima, e cioè, sulla mia pancia.
"Se non te la sposi tu, me la sposo io". Sghignazzò.
Le mie guance, assunsero alla velocità della luce, lo stesso colore dal simbolo antincendio affisso alla parete.
"Da quando parli così tanto?". Sbottò Damon alle mie spalle, muovendo lentamente la sua mano sulla mia.
"Da quando è così facile farti incazzare", replicò Tony, ridacchiando e con lui anche Thomas che si beccò occhiataccia dalla sottoscritta.
"Non tirare troppo la corda Tony", lo avvisò Damon, ma dal suo tono non sembrava davvero arrabbiato.
"Figurati, ci tengo alla mia vita", scrollò le spalle. "Ma...avrei un'ultima curiosità", mi guardò. "Se posso".
"Ehm, si", risposi titubante.
"No", fu invece la solita e prevedibile risposta di Damon.
Sbuffai e lui pizzicò la mia pancia con le dita, facendomi sussultare.
"State insieme?". Beh, quello mi fece sussultare ancor di più, ma restai in silenzio, guardando quel ragazzo come se avesse tre teste.
"E lo vengo a dire a te?". Spalancai gli occhi dinanzi alla risposta di Damon.
Cosa intendeva? Non era un si, ma non era neanche un no, non sopportavo più tutto questo.
"Possibile che nessuno ci senta", mi alzai, come una molla, avvicinandomi alle porte semiaperte.
"La musica è troppo alta", disse Thomas, guadandomi dal basso. "Soffri di claustrofobia?".
"No, ma odio gli ascensori". Mi girai, notando Damon fissarmi con sguardo corrucciato. Dovevo sembrargli pazza ed ero sicura di esserlo.
Ma lui, non era da meno.
"Qualche trauma infantile?". Chiese Tony.
"Si, avevo cinque anni credo". Mordicchiai nervosamente il mio labbro, iniziando a tamburellare il piede sul posto.
"Però...belle", continuò quel ragazzo, toccando la punta delle mie scarpe, o meglio quelle di Tate, con un dito.
"Oh grazie, ma sono scomodissime". Ridacchiai.
"Beh, ti stanno da Dio". Ammiccò.
"Se venissi a sederti qui, non ti farebbero così male", sbottò Damon serrando la mascella, mentre quel Tony si lasciò andare ad una fragorosa risata.
"Non riesco a stare ferma, ho l'ansia", sbuffai.
"Devo dirti una cosa", sospirò.
Mi avvicinai, abbassandomi sulle ginocchia, ma lui mi afferrò per la vita, facendomi risedere esattamente dove ero prima.
"Che c'è?". Sussurrai.
"Stai mettendo l'ansia anche a me", alzò gli occhi al cielo.
"Per questo mi sono allontanata". Replicai inarcando un sopracciglio.
"Stai bene anche qui", strinse appena la presa, portando le mie gambe, sulle sue, ma rivolte al muro.
"Mi hai fregata", borbottai, appoggiandomi al suo petto.
"E di che ti lamenti?". Sghignazzò, pizzicandomi il naso.
"Mh, come va la testa?".
"Bene", sospirò, passandosi una mano fra i capelli. "Ma andrà meglio quando uscirò da qui dentro".
"Già", sbuffai, giocherellando con l'orlo del mio vestito.
"Anche questo è bello", lo sfiorò, aprendo poi il palmo della sua mano sulla mia coscia.
"Sempre di Tate, grazie comunque", abbozzai un sorriso.
"Lo immaginavo, non è il tuo genere".
"Oh, mi sta male?". Mordicchiai la mia lingua per l'imprudenza della mia domanda.
"Non ho detto questo", sussurrò molto lentamente.
"E che vuoi dire allora?".
"Non hai messo il reggiseno?".
"Cosa? Cosa c'entra questo?".
"No, non l'hai messo", abbassò lo sguardo, passando poi una mano sulla mia schiena.
"Q-questo vestito va senza", balbettai. "E poi capirai, non c'è molto da reggere". Ridacchiai nervosamente.
"Ma vedere si, questi si notano perfettamente".
"Hey ma che fai?". Mi girai nella sua direzione con il busto, schiaffeggiando la sua mano, quando sfiorò i miei seni o meglio i miei capezzoli.
"Dimostravo la mia tesi", ammiccò.
"Cretino", lo guardai male.
"Dico solo quello che vedo", riportò le mani al suo posto, cioè sulle mie gambe.
"Mh". Abbassai il capo, non sapendo più che dire, non avevo ancora capito se quel vestito su di me, gli piacesse o meno, ed era stupida la mia reazione, dato che dieci minuti prima, mi aveva detto che ero bella, ma mi sentivo sempre così insicura ai suoi occhi.
Due dita, sollevarono il mio mento, mi guardò, scrutandomi attentamente.
"Ti sei truccata?".
"Ehm, si".
"Mh, perché?".
"Perché?". Mi accigliai.
"Già, perché?". Fece scendere la sua mano giù per la mia gamba, racchiudendo poi la mia caviglia con questa. Mi ero quasi dimenticata che ci fossero due persone lì con noi e sperai con tutta me stessa, che non stessero badando a quello che stavamo facendo noi.
"Così", scrollai le spalle.
"Stai meglio senza".
"Mi sta male anche questo ora?". Sbuffai.
"Non ho detto neppure questo", sollevò le sopracciglia.
"Ho solo detto che staresti meglio senza trucco e..anche senza vestito".
"E cosa dovevo...Damon", scossi il capo. "Sei sempre il solito".
"Le scarpe puoi tenerle", bisbigliò nel mio orecchio.
"A menomale, pensavo che neanche quelle ti piacessero".
"Possono andare", le sfiorò con le dita. "Quei cinque centimetri in più, potrebbero sempre tornarci utili".
"Per cosa?". Mi accigliai.
"Te lo spiego dopo", sussurrò, giocherellando con la chiusura del mio décoltè.
"Dam", lo guardai male, quando il significato di quelle parole, raggiunse anche la mia innocente immaginazione. "Questi cosi, sono peggio di un'arma".
"Mi piace il tuo lato aggressivo".
"Non è ancora finito l'effetto dell'alcol?".
"Perché dici questo?".
"Hai detto cose troppo carine nei miei confronti stasera, devi essere per forza ancora ubriaco".
"Pensi che da sobrio non te le direi?".
"Ne sono sicura", annuì vigorosamente. "Anche se...sarebbe bello. Almeno so che lo pensi davvero".
"Credi che ti stai mentendo?". Infilò una mano fra i miei capelli, accarezzandoli.
"Mentendo no, ma...", abbassai il capo.
"Cosa?". Poggiò la fronte contro la mia, ma il destino o chissà cos'altro, decise che quella risposta, dovevo tenerla per me.
"Cazzo, si", sbottò Thomas, quando l'ascensore prese a muoversi all'improvviso.
Damon continuava a guardarmi, in attesa come se non gliene fregasse nulla di poter finalmente uscire da lì dentro.
"Dobbiamo andare", dissi alzandomi, quando le porte si aprirono.
Sbuffò, ma non aggiunse nulla sorpassandomi e lasciandomi indietro come sempre.
Ecco Damon, è così che mi sento io, la maggior parte delle volte con te.

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