Capitolo 12

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Il sole stava calando, ed era bellissimo guardalo, poggiata alla spalla di Damon.
Non disse nulla, quindi dedussi che non gli desse fastidio, ma in caso contrario, avrei sempre potuto giustificare quel gesto, con la paura della velocità, perché cavolo, quel ragazzo, andava velocissimo.
Una sorta di arena, tempestata da murales di ogni colore, fu la prima cosa che vidi, quando finalmente si decise a rallentare.
"Scendi", ordinò, non era più a suo agio, si era irrigidito tutto d'un tratto, senza un motivo o forse lui era troppo bravo a nasconderlo.
Feci come mi disse, aspettando che legasse la sua moto con una grossa catena ad un palo, poi gli passai il casco che lui afferrò riluttante, agganciandolo al manubrio.
"Dove siamo?". Domandai, seguendolo non appena prese a scendere degli enormi scaloni in marmo bianco, che portavano al centro di quest'altrettanto grande struttura.
Non mi rispose, fermandosi davanti ad un disegno il cui colore predominate era il nero, a differenza degli altri, molto meno inquietanti di quello che stava guardando lui.
"È tutto ok?".
"Non ti hanno adottata".
"C-come fai a saperlo?" Balbettai, stringendomi nelle spalle.
"La tua amica urlava parecchio", si girò, perforandomi con lo sguardo.
"Comunque no", sussurrai, andandomi a sedere su uno di quegli scalini.
"E ti sei vestita così per loro?". Mi raggiunse, ma restando in piedi.
"Già", borbottai, giocando con le punte dei miei capelli.
"Ti illudi troppo", sbuffó, accendendosi una sigaretta.
"Se dovevi dirmi anche tu questo..."
"Ma è bello credere in qualcosa", aggiunse di punto in bianco.
"E tu? In cosa credi?". Cercai il suo sguardo, invano.
"In me stesso", si portò la sigaretta alle labbra, prendendo un tiro che poi finì dritto sul mio viso.
"È una bella cosa", tossì, guadandolo male. "Non tutti ci riescono".
"Nemmeno tu", la sua non era una domanda e mi ritrovai ad annuire in accordo con le sue parole.
"Sono molto belli questi disegni, chi li ha fatti?". Domandai, mordicchiandomi il labbro.
"Qualche drogato", replicò, non distogliendo mai lo sguardo dal mio.
"Beh vorrei drogarmi anch'io per poter fare qualcosa del genere, sono delle opere d'arte, sopratutto quello", indicai quello che lui poco prima stava guadando e sul suo viso, notai l'accenno di piccolo sorriso, un sorriso diverso dal solito. "È diverso da tutti gli altri, chiunque l'abbia fatto, porta dentro di se qualcosa di forte, molto forte".
"Tu credi?". Stavolta fu il suo turno di incrociare le braccia al petto e nel farlo la sua maglia si alzó di poco, rivelando un tatuaggio sul polso, che però non riuscì ad identificare.
"Ne sono convinta".
"Siete passati alla fase b, ora".
"Cosa?". Aggrottai le sopracciglia, dinanzi a questo repentino cambio di argomento.
"Ora vi baciate", la sua voce bassa, calma.
Non lo capivo.
"Oh ecco...si credo di sì".
"Credi?".
"Non lo so", sbuffai una risata. "È complicato".
"Cosa?". Venne a sedersi al mio fianco.
"Beh, è imbarazzante parlare con te di questa cosa", ridacchiai.
"Non sono un tipo che si imbarazza facilmente, almeno non quanto te".
"Hey, non prendermi in giro anche tu, per oggi ho sopportato abbastanza", misi su una finta faccia offesa; era incredibile il modo in cui riuscivo a sorride così facilmente con lui e non faceva chissà che cosa per farlo accadere.
Questo mi preoccupava parecchio.
"Sei tu a decidere quando è abbastanza", posó i gomiti sul secondo gradino alle sue spalle, guardando davanti a se.
"Non è sempre facile, soprattutto quando si tratta di Tate", mormorai, abbassando il capo.
"Per questo bisogna credere solo in se stessi", chiuse gli occhi, sembrava rilassato, non lo avevo mai visto così. "E non fissarmi".
"Io..no, non lo stavo facendo", mi affrettai a distogliere lo sguardo, rossissima come un pomodoro.
"Fingerò di crederci, ti sta squillando il telefono", aprì un occhio.
"Il telefono? Ah si", accettai la chiamata, era Jacob.
"Krysyal ma dove sei?". Quasi urló.
"Perché?" . Sospirai pesantemente, alzandomi e allontanandomi un po' da Damon.
"Ti ho cercata ovunque, ho appena riportato Tate all'orfanotrofio, mi dici tu che fine hai fatto?". Sbuffó.
"Torno fra poco non preoccuparti".
"Si...ma.."
"Scusami", sussurrai, prima di riattaccare.
"Sei ricercata?".
Era ancora lì, ma stavolta i suoi occhi non erano chiusi, ero sicura che mi avesse osservata per tutto il tempo.
"Penso proprio di sì, finirò nei guai", mi passai le mani sul viso.
"Per così poco?". Inarcò un sopracciglio. "Saranno al massimo le sette di sera".
"Io non potrei uscire", sussurrai, rilasciando un lungo respiro. "Forse è meglio se torniamo".
"Dammi il telefono", tese la mano nella mia direzione.
"Perché?".
"Fallo e basta".
"Oh, ok ma non è il mio", glielo porsi, ma lui non lo prese, inarcando un sopracciglio.
"E di chi è?".
"Di Tate, io non ho un cellulare", mi strinsi nelle spalle.
"Non hai un cellulare", ripeté incredulo.
"A cosa mi servirebbe?".
"A molte cose", tornò serio. "Potresti averne bisogno, ora che hai una vita sociale".
"È vero, ma non ho abbastanza soldi e poi...cavolo non so neanche usarlo", ridacchiai.
"Non ci posso credere", scoppiò a ridere, aveva quasi le lacrime agli occhi. "Sei unica nel tuo genere".
"Beh grazie", sorrisi, scrollando le spalle.
"Andiamo va, che è meglio", scosse il capo, camminando verso la sua moto, ovviamente non aspettandomi. Ma infondo dove potevo andare, se non con lui?

SweetWhere stories live. Discover now