Capitolo 49

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Sbuffai. Avevo voglia di tirare qualcosa contro quella porta appena chiusa, la verità, era che volevo che quella cosa colpisse direttamente lui.
Era uno stronzo e questo lo sapevo già, ma quella volta aveva davvero esagerato. Ero disposta sempre ad assumendomi la responsabilità dei miei errori, ma non quella volta. Io non avevo colpe, ma propria nessuna. Tutto questo per una stupida ciambella che alla fine non avevo neppure più mangiato.
Mi guardai intorno, era una stanza piccola ma accogliente, i colori erano bellissimi ed era quasi strano pensare che lì dentro ci stesse dormendo Damon e...Jared. Ma la stessa domanda di prima, continuava a frullare nella mia testa. C'era un solo letto e neppure un divano. Non volevo pensare che Damon, avesse considerato l'ipotesi di farmi dormire al centro. Volevo ben augurarmelo.
Presi posto su quella poltrona, accendendo la tv, non sapevo quando sarebbe tornato, cosa sarebbe successo e come dovevo comportarmi. Iniziai seriamente a pentirmi di questo viaggio, cinque ore dopo, quando ancora nessuno varcò quella porta. Non mangiai, non ne avevo voglia. Non ero un oggetto che riponevi in una stanza e lo ritrovavi al tuo ritorno, eppure era così che mi sentivo. Sobbalzai, invece, quando intorno alle sette di sera quella porta si riaprì e come previsto, c'era anche Jared. Quello che mi colpì però, fu il fatto che mi salutò, sorridente.
"Non riusciamo proprio a liberarci di te", disse, poggiando degli scatoloni di pizza sul tavolino al mio fianco.
"Ehm, ciao", sussurrai, confusa.
Damon non salutò, ne disse altro, dirigendosi direttamente al bagno, ma non mi era sfuggito il fatto che fosse sicuramente meno agitato di quando era andato via.
"Margherita giusto?".
"Eh?".
"Damon ha detto che a te piace la margherita". Scrollò le spalle, sedendosi a terra.
"Oh, si grazie", mi affiancai a lui. Il mio stomaco prese a brontolare, ora sì che avevo fame. "T-tutto bene?". Domandai incerta. Io e Jared non avevamo mai avuto una vera e propria conversazione e a dir la verità, dopo quello che aveva fatto, non mi sentivo molto a mio agio.
"Si", rispose, guardandomi di sbieco. "Non illuderti, non diventeremo amici. Sono solo felice per altro in questo momento".
"Figurati, non l'ho mai pensato", alzai le mani in segno di resa. Ma almeno lui, una minima spiegazione a tutto questo, me l'aveva data.
Tagliai una fetta della mia pizza e proprio in quel momento, Damon uscì del bagno. Mantenni lo sguardo basso, perché sapevo che se avessi fatto l'errore di guardarlo, avrei anche detto qualcosa, tipo un ciao, e non lo meritava. Trafficò per la stanza, prima di venirsi a sedere attorno al tavolo con noi, più precisamente difronte a me. Perfetto.
Diedi un morso alla mia pizza e cavolo, pur non essendo la migliore che abbia mai mangiato nella mia vita, mi sentivo in paradiso. In quei giorni, il mio appetito era aumentato a dismisura, almeno quando Damon non mi faceva innervosire e di conseguenza, chiudere lo stomaco.
"Che gioco è?". Borbottò Jared con ancora la bocca piena. Mi accigliai, non capendo a cosa si stesse riferendo. "Il gioco del silenzio?".
"Quando si mangia non si parla", replicò Damon, prendendo un sorso dalla sua birra che solo in quel momento notai.
"Una cosa non mi è chiara", continuò Jared e cavolo, era la stessa identica cosa a cui io avevo pensato tutto il pomeriggio. Ed era fastidioso. "Questa dove dorme?".
"Mi chiamo Krystal", gli lanciai un'occhiataccia.
"Oh, davvero. Non lo sapevo", sorrise sghembo. "Quindi? Una cosa a tre Dam? Ahi". Urlò, toccandosi il ginocchio. Beh, quel moretto spettinato, mi aveva preceduto.
"Tu dormi a terra", rispose Damon, tranquillo.
"No, dormo io sulla poltrona. Mi basta solo una coperta", dissi, guardandolo per la prima volta.
"Ecco, problema risolto", replicò Jared, accendendo la tv.
Continuai a mangiare la mia pizza, con il suo sguardo addosso, cercai di fingere che tutto questo non stesse succedendo a me, ma non era per niente facile.
"Ma no", urlò Jared, quando la sua squadra di basket, non riuscì a segnare il punto per la vittoria. Mi alzai, piegando il mio cartone, andando a gettarlo in un cestino sul fondo della stanza.
E ora? Tornai al mio posto, puntando lo sguardo sulla tv.
"Cavolo, che sfiga", Jared si stiracchiò, prima di alzarsi. "Vado a fare una doccia, non entrate", mi guardò, inarcando un sopracciglio.
"Tranquillo, ho appena mangiato", sbuffai, alzando gli occhi al cielo.
Tentò di mantenere un'espressione seria, ma alla fine lasciò vincere un piccolo sorriso, mentre recuperava le sue cose, per chiudersi in bagno.
"Sarcastica", disse di punto in bianco, incrociando le braccia al petto.
"Ti è tornata la voce?". Ridusse gli occhi a due fessure.
"Anche acida".
"Me lo hai già detto una volta", replicai, tornando a guardare la tv.
"Non mi sbagliavo allora".
"Già, tu non ti sbagli mai", continuavo a non guardarlo.
"Non fare l'offesa Krystal, sottolineo solo l'ovvio".
"Cioè?". Inarcai un sopracciglio.
"Che non ascolti nessuno e fai male".
"Non ho cinque anni Damon". Incrociai il suo sguardo. "È lui che ha sparato me, non il contrario. Ma anche stavolta è più facile puntare il dito contro di me". Il suo sguardo cambiò, avevo toccato il punto giusto e cavolo, se dovevamo litigare, preferivo farlo subito.
"Se tu imparassi a non oltrepassare certi limiti, tutto questo non sarebbe accaduto", il suo timbro di voce, divenne più alto.
"Non capisci nulla", scossi il capo. "E non urlare".
"Io urlo quanto mi pare".
"Ah davvero? E perché mai? Non eri obbligato a farmi venire qui".
"Ora sei tu quella che non capisce un cazzo", si alzò e lo feci anch'io. "Continua a vivere nella tua campana di vetro".
"Pensi che io sia stupida? Che non sappia cosa succeda fuori?".
"Evidentemente no. Una settimana cazzo", spalancò le braccia. "Una sola cazzo di settimana e sei riuscita a ficcarti in un casino ancor più grande di quella fottuta rapina".
"Cosa ne sapevo io?". Urlai. "Come potevo sapere che lui fosse lì?".
"Te l'avevo anche detto", mi puntò un dito contro. "Ti avevo detto di non uscire da sola ma tu...tu devi sempre fare di testa tua".
"Quindi è colpa mia, non è così?".
"Potevi evitarlo", rispose. "Dici di saper badare a te stessa, ma la verità è che...".
"Non devi badarci tu Damon. Se tutto questo è un peso per te, me ne vado, ora. Da quando sono arrivata non hai fatto altro che urlarmi contro". Deglutì, cercando di mascherare la mia voce tremolante.
"Ah però, che caratterino", Jared uscì dal bagno con indosso una tuta e un asciugamano per tamponare i suoi capelli.
"Sparisci", sbottò Damon, continuando a fissare me.
"Ragazzi, ho sonno, tanto si sa già come va a finire". Scrollò le spalle, camminando fino al letto, per poi gettarsi sopra di peso.
Rilasciai un respiro tremolante, non riuscivo a stare lì dentro, non ci riuscivo proprio. Mi abbassai, sulle ginocchia, aprendo la mia valigia. Avevo bisogno di qualche minuto per me, di qualche minuto per sfogare tutto quello che quel ragazzo mi provocava. Recuperai una maglia e un pantaloncino per la notte. Mi alzai, stando attenta a non incrociare il suo sguardo, ne a sfioralo, prima di richiudermi la porta del bagno alle spalle e scivolare contro questa.
Tolsi i vestiti, poggiandoli sul lavandino, prima di entrare in doccia. Chiusi gli occhi, lasciando che le mie lacrime si confondessero con lo scorcio dell'acqua. Non ne potevo più di tutto questo. Non ne potevo più delle sue parole, sempre pronte a ferirmi, dei suoi modi, così scostanti, freddi, come se quello che fosse successo fra noi non fosse mai esistito. E forse per lui, era davvero così.
Tamponai i miei capelli, guardandomi allo specchio. Quello che vedevo, non mi piaceva affatto. Ero venuta qui, con mille speranze e per ora, le aveva infrante già tutte. Capivo il suo essere nervoso anche per la sorella, ma allora perché aveva insistito tanto per avermi qui?
Infilai la maglia ed il pantaloncino. In quella stanza, sembrava estate, ma mi vergognavo parecchio ad uscire in quel modo. Mi guardai un'ultima volta allo specchio, non volevo che si rendesse conto delle mie debolezze. Sbloccai la serratura, uscendo in punta di piedi e tirai un sospiro di sollievo, quando sentì il leggero russare di Jared.
Mi bloccai però, quando vidi Damon, seduto su quella poltrona, dove in teoria, avrei dovuto dormire io.
Si girò, guardandomi dalla testa ai piedi.
"Ho provato a buttarlo giù, niente da fare". Fece un cenno in direzione di Jared che stava beatamente dormendo. Si era calmato, almeno così sembrava. Mi accigliai, quando avanzando di un altro passo, vidi una coperta molto grande e dall'aspetto molto morbido stesa a terra e due cuscini, l'uno sull'altro.
"Va bene così", risposi con un fil di voce, avvicinandomi a quella sorta di letto che lui mi aveva preparato. Si alzò, sfilandosi la maglia, prima di dirigersi verso il letto. Avevo un'ampia visione delle sue spalle contratte. Distolsi lo sguardo, quando mi colse in flagrante.
"So di non essere un gentiluomo in questo momento, ma non ti avrei mai fatta dormire con un altro".
Il mio cuore prese un battito. Scostò le coperte, infilandosi a letto.
Io, senza parole.
Passò un'ora, in cui mi rigirai fra le coperte e non perché stessi scomoda, anzi. Sapere di averlo così vicino, non mi dava tregua. Odiavo litigare con lui, lo odiavo davvero, ma mi aspettavo una reazione simile da parte sua. Mi girai un'ultima volta, dando le spalle al loro letto, fissarlo non mi avrebbe aiutata.
Spalancai gli occhi e trattenni il respiro, quando sentì dei passi nella stanza, per quel che ne sapevo poteva essere anche Jared, ma quando la mia coperta, venne leggermente scostata dal mio corpo, mi paralizzai.
Sentì il suo corpo, scivolare dietro al mio, il suo respiro dietro al mio collo, prima che la coperta coprisse entrambi.
Il suo braccio, circondò la mia vita, posandosi sul mio ventre.
"So che sei sveglia", trasalì, facendolo ridacchiare nel mio orecchio e quello, peggiorò la situazione, di per se difficile.
"Perché sei qui?". Sussurrai, fissando il muro. "Il letto era scomodo?".
"Parecchio", chiusi gli occhi. Non aveva idea di cosa provocasse in me, la sua presenza.
"Capisco", borbottai, mordicchiando nervosamente il mio labbro.
"Sicura?".
"Cosa?". Sospirai, quando le sue dita, presero ad accarezzare il mio ventre con movimenti circolari.
"Di aver capito?".
"In realtà no, io non ti capisco mai", ammisi.
Mi girò, come una bambola nella sua direzione. Un profondo cipiglio in volto, riconoscibile anche al buio.
"Neppure io", replicò.
"Non ho voglia di litigare ora, ho sonno".
"Non stiamo litigando", sussurrò lentamente.
"Certo, come no". Sbuffai. "Abbiamo fatto solo quello da quando sono arrivata qui".
"È divertente", scrollò le spalle. "Diventi tutta rossa quando urli". Ammiccò.
"Non c'è nulla di divertente", lo trucidai con lo sguardo. "Non mi hai lasciato neppure spiegare".
"Ho una visione abbastanza chiara di come sono andate le cose". Mormorò, poggiando un gomito a terra per sostenere la sua testa.
"Davvero? E come? Perché io non ti ho detto nulla".
"Ti conosco abbastanza da sapere come sono andate le cose".
"Sentiamo", imitai la sua posizione, guardandolo di sottecchi.
"Hai visto quel bastardo in quel negozio e sei entrata, giusto per assicurarti che fosse lui".
"Mi reputi così stupida?".
"Non mi permetterei mai", alzò le mani in segno di resa. "Ma curiosa si", fece una smorfia.
"Ti sbagli, non sono entrata in quella pasticceria per lui. Volevo solo una ciambella".
"Una ciambella?". Si accigliò.
"Già, era l'ultima in vetrina. Era ricoperta di glassa rosa e..quando sono entrata ho visto quella donna dare dei soldi a..".
"Aspetta", mi guardò. "Una ciambella?".
"Si, te l'ho detto. Stavo tornando a casa ma...che ti ridi? Hey".
"Non ci posso credere", scosse il capo, tossendo.
"Ti sei ficcata in questo casino per una ciambella?". Era incredulo.
"Così sembra", scrollai le spalle. "E alla fine, non l'ho neanche più mangiata", sussurrai triste.
Alzai lo sguardo, dato che non aveva più risposto, trovandolo a fissarmi.
"Che c'è?".
Spostò una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.
"Dovrei ammazzarti", sussurrò, fissando le mie labbra.
"Non volevo coinvolgerti. So che hai già i tuoi problemi e...". Il suo sguardo saettò nel mio.
"Questo non c'entra nulla, Thomas doveva dirmelo".
Era in momenti come questo, che avrei voluto riempirlo di domande, ma avevo sempre il timore di rovinare tutto. Ci eravamo urlati contro per quasi tutto il giorno ed ora, invece, eccoci qui, l'uno al fianco dell'altro a guardarci, a sfiorarci, come se la nostra vita dipendesse da questo.
"Comunque, mi dispiace lo stesso averti disturbato, hai dovuto comprare un biglietto aereo...".
"Krystal", la sua mano ricadde sulla mia spalla, per poi raggiungere il mio fianco.
"Pensi troppo".
"Mh", mugugnai. "E...tua sorella come sta?".
"Meglio", rispose mesto. "Oggi ci sono stati dei piccoli miglioramenti, sente qualcosa quando testano la sensibilità delle gambe".
"È una bellissima notizia", sorrisi, poggiando la guancia sul palmo della mano.
"Già", sussurrò. "Allora", prese un lungo respiro, distogliendo lo sguardo. "Il tuo amichetto del cuore, ha ricambiato il favore?".
"Parli di Rick?. Pressai le labbra fra loro. Non ricordavo una sola volta, in cui l'aveva chiamato con il suo vero nome.
"Di quello", annuì distratto, ma qualcosa mi diceva che fosse davvero interessato alla mia risposta.
"Comunque no, non ho bisogno di nessun favore, al momento", aggiunsi.
"Al momento", ripetè, facendo una smorfia.
"Beh, dopo quello che ho dovuto subire...", lasciai la frase in sospeso.
"Tipo?". Tornò a guardarmi, non curandosi neppure di fingere disinteresse.
"I suoi genitori credevano che fossi la figlia di un noto imprenditore, qualcosa del genere. Hanno iniziato a farmi un sacco di domande. Beh, Rick rispondeva al mio posto. Se si vergognava di me, allora mi chiedo perché non ha chiesto a qualcun'altra questo favore".
"Devo spiegartelo?". Il tono infastidito.
"No Damon, Rick sa bene che...".
"Che siamo solo amici", scimmiottò la mia voce.
"Hey, io non parlo così"
"E poi dici che non sei tu ad infilarti in certe cose", borbottò, girandosi sulla schiena.
"Gli ho solo fatto un favore".
"Certo", una risata amara lasciò le sue labbra.
"In ogni caso, non ti devo alcuna spiegazione", la sua testa, scattò nella mia direzione.
"Non ne sarei così sicura al tuo posto".
Il suo sguardo, continuava ad alternarsi dalle mie labbra ai miei occhi.
"Perché n-non dovrei esserlo?". Balbettai. I suoi occhi, mi destabilizzavo. Non ci capivo più nulla.
"Nick lo sa che sei venuta per me?". Per poco non mi strozzai con la saliva.
"M-a cosa...".
Si mise sul fianco, poggiando la sua mano sulla mia gamba.
"Appunto", fece un ghigno.
"Appunto cosa?". Sbottai infastidita.
"La velocità con cui arrossisci è impressionante", ridacchiò, pizzicandomi il naso con la mano, che io mi curai di schiaffeggiare.
"Smettila, non prendermi in giro", borbottai, quando continuò a ridere. "Ok, buonanotte", mi liberai dalle sue mani, dandogli le spalle.
"Non fare l'offesa", sussurrò nel mio orecchio, provocandomi una scia di brividi lungo tutta la schiena. "Andavano solo messe in chiaro alcune cose piccola permalosetta". Circondò nuovamente la mia vita, con il suo braccio, poggiando il mento sulla mia testa. E chi lo capiva a questo qua.
"Sei solo un maleducato e non va messo in chiaro proprio nulla". Mi agitai, ma mi tenne ferma, tirandomi contro il suo corpo. Se possibile, arrossì ancor di più.
"Cosa ho fatto stavolta?". La sua mano sulla mia pancia.
"Non mi hai neanche salutata in aeroporto", borbottai con la faccia schiacciata contro il cuscino.
"E ci sei rimasta male?". Lo sentì sorridere. Annuì semplicemente. "Perché?". Il suo viso, scese all'altezza del mio collo.
"Così", sussurrai. "Non ci vedevamo da una settimana e...e anche se eri arrabbiato, potevi almeno dire un ciao".
"Sono ancora in tempo?", strofinò il suo naso contro la base del mio collo.
"Assolutamente no".
"Come no?". In mezzo secondo, mi ritrovai sotto il corpo di Damon, mentre mi guardava dall'altro.
"Non volevi salutarmi. Ora è inutile", sussurrai, distogliendo lo sguardo.
"Non ho mai detto che non volevo farlo".
"Ma non lo hai fatto".
"Sarei sembrato pazzo ai tuoi occhi, se prima ti fossi saltato addosso e poi ti avessi urlato contro". Ammiccò.
"Sei già pazzo per me", accennai un sorriso, cercando di tenere a bada l'imbarazzo per le sue parole così dirette.
Sospirò, chiudendo gli occhi, con le mani ancora poggiate ai lati della mia testa, poi si spostò.
"Dormi krystal", tornò a fissare il soffitto con le mani dietro la testa.
Sospirai anch'io, probabilmente per il suo stesso motivo. L'avrei baciato e mi sarei fatta baciare, solo da lui. Sempre.
"Buonanotte, Dam", sussurrai, girandomi dal lato opposto. Avevo bisogno d'aria.

SweetWhere stories live. Discover now