Capitolo 83

95.1K 3.1K 4.1K
                                    

"Sta per svegliarsi".
No, non volevo svegliarmi. Non ricordavo nulla, ero in uno stato di dormiveglia, ma sapevo inconsciamente, che non appena avrei riaperto gli occhi, qualcosa di fin troppo doloroso mi avrebbe colpita.
"Krystal", il mio nome ripetuto da tante voci. Mi stavo svegliando, purtroppo mi stavo svegliando.
"Come stai?". Il viso di Tate, fu la prima cosa che riuscì a riconoscere, eppure non bastò a tranquillizzarmi.
"N-non lo so", gracchiai, strizzando gli occhi.
"Hey", Charlotte. Quegli occhi, quel sorriso bastarono a farmi male ancora una volta.
"Damon", urlai, scattando a sedermi. Ero su un letto, bianco, anche le pareti erano bianche. Non mi piacevano.
"Tranquilla, tranquilla", sussurrò Charlotte con le lacrime agli occhi. "Va tutto bene", ma io ricordavo. Stavo iniziando a farlo e, ad ogni secondo, sentivo il mio cuore squarciarsi sempre più.
Urla, i suoi occhi miei miei. Poi quegli uomini, dei poliziotti, lo afferrarono per le spalle non appena tentò di scappare, poi più nulla, oltre un forte bruciore alle ginocchia, che sentivo anche in quel momento. E il mio nome, ripetuto con disperazione.
Se mi avessero sparato, avrebbe fatto meno male.
"Dov'è Damon?". Afferrai le mani di Charlotte, cercando il suo sguardo. "Non mentirmi".
"Sei svenuta...sei in queste condizioni da più di un'ora, forse dovresti...".
"No", ero fuori di me, mentre staccavo il lavaggio iniettato nelle mie vene. "Sto benissimo".
"Krystal sei impazzita?". Urlò Tate, quando scesi dal letto. Barcollai, ma riuscì a restare in piedi.
"Dimmi dov'è Damon".
"I ragazzi se ne stanno occupando".
"Dov'è Damon?". Urlai. Sobbalzarono. Stentavo a riconoscermi, ma era esattamente così che mi sentivo. Non avevo voglia di piangere, ma solo di spaccare tutto, compresa la sua faccia.
"In carcere, l'hanno praticamente colto con le mani nel sacco", sussurrò, scuotendo il capo.
"Stronzo, che stronzo". Mi passai le mani fra i capelli, iniziando a camminare per la stanza come una pazza. "Dobbiamo..dobbiamo fare qualcosa io...io devo prenderlo a schiaffi e devo...".
"Shhh", le braccia di Tate, si strinsero attorno a me, non mi ero neppure accorta che avevo iniziato a piangere. Non volevo piangere. Non dovevo. Mi aveva mentito, ancora. Dovevo essere arrabbiata con lui, lo ero, ma non quanto avrei voluto. Non riuscivo a resistere, non riuscivo a ragionare.
"Andrà tutto bene", disse fra i miei capelli. Me lo avevano detto in tanti, anche Damon, ma non mi sembrava che stesse andando tutto bene, anzi.
"Non ci credo p-più", balbettai, tirando su col naso. "Io devo...io devo andare da lui. Dove sono i miei vestiti? Perché ho questo coso...".
"Krystal", Charlotte mi afferrò per le braccia. "Ti prego, cerca di calmarti. È impazzito quando..".
"L'hai visto?". Strabuzzai gli occhi.
"Solo per poco, prima che lo portassero in cella", abbassò il capo.
"Posso....".
"No, stasera no". Sospirò. "Mi dispiace, ma dovevo calmarlo in qualche modo. Insomma...ti ha vista quando...quando sei svenuta".
"Non so che fare", scoppiai a piangere a dirotto. Il corpo completante scosso dai singhiozzi.
"Abbiamo già contatto un avvocato d'ufficio. Non abbiamo abbastanza soldi per...".
"Rick", urlai. "Suo padre è avvocato".
"Krystal, Damon mi ha detto una cosa...non ho capito bene cosa intendesse, ma ha detto...Rick no".
"Rick?". Mi accigliai. "Non credo che lui sappia che suo padre è un avvocato". Non ricordavo se gliene avessi parlato o meno, ma era impossibile che in un momento come quello, la prima cosa che gli venisse da dire fosse quella. "A meno che...insomma, potrebbe aver scoperto qualcosa", mormorai.
"Non so neppure chi sia questo Rick", scrollò le spalle.
Qualcosa non mi tornava. Troppi nomi, oltre quelli che purtroppo già avevano incrociato il nostro cammino.
"Dobbiamo far qualcosa", dissi. "Non so cosa ma...".
"È Jared", disse Charlotte, quando il suo telefono squillò, non le diedi il tempo di rispondere, che le sfilai il telefono dalle mani.
"Jared".
"Char...oh Krystal, come stai?".
"Damon?".
"Abbiamo appena finito di parlare con l'avvocato, ma è un'idiota".
"Cosa dobbiamo fare?".
"Tu niente...Damon mi ha esplicitamente detto...".
"Non me ne fotte un cazzo di quello che Damon ha detto". Gli occhi delle mie amiche fuori dalle orbite.
L'educazione era l'ultimo dei miei problemi al momento.
"Ci vediamo a casa", sospirò, chiudendo la chiamata.
"Andiamo", infilai i jeans e le scarpe velocemente.
"Krystal...non risolvi niente in questo modo", intervenne Tate. Non le diedi ascolto, ne una risposta, tuttavia non avevo preso in considerazione un altro problema, che mi si parò davanti troppo presto.
"Tesoro", la porta venne spalancata e per poco non mi colpì.
"Miss Morris, mi scusi ma...".
"Glielo dica anche lei che deve riguardarsi".
"Tate, sta zitta", sbottai.
"Ma cosa è successo?". Domandò la Morris fra il confuso e il preoccupato. Non avevo tempo per questo.
"Glielo spiegheranno le ragazze, io devo andare".
"Krystal", urlò. "Tu non ti muovi di qui. Cos'è successo?".
Sospirai, preparandomi psicologicamente ad altre mille cose che non mi avrebbero ugualmente fatto cambiare idea. Avevo già scelto, e mentre loro continuavano ad urlare, io sapevo già cosa fare.

SweetWhere stories live. Discover now