Capitolo 20

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Tre giorni dopo, mi sentivo già meglio.
La febbre era sparita, così come anche il mal di gola.
Ero pronta per tornate a scuola e recuperare tutte le lezioni perse, ma essendo venerdì, la Morris mi aveva consigliato, di farvi ritorno il lunedì, in modo da non rischiare di ammalarmi di nuovo.
Ero stanca di starmene chiusa nella mia stanza, Tate stava passando davvero poco tempo in mia compagnia, lei e quel famoso Carl, di cui avevo visto solo una foto, avevano deciso di provarci e per me, era abbastanza strano che avesse deciso di frequentare un solo ragazzo, conoscendola.
Passò anche il venerdì sera e il sabato mattina, allo stesso modo.
La Morris, mi aveva portato altri due libri da poter leggere, ma sarei impazzita, se non avessi lasciato quella stanza, anche solo per un'ora.
Scesi le scale, avvolta in una grande coperta, raggiungendo il grande salone al pian terreno, dove altre ragazze e alcune bambine più piccole, stavano guadando la TV.
Salutai alcune di loro, che mi abbracciarono calorosamente, chiedendomi come stessi, avevamo tutte un bellissimo rapporto e ogni volta, che una di loro, lasciava l'orfanotrofio, ero felice e triste allo stesso tempo.
Ci capivamo alla perfezione e questo faceva si, che litigassimo di rado.
Presi posto su una poltrona all'angolo della stanza, sgranocchiando dei biscotti squisiti, mentre cercavo di capire che genere di film stessero vedendo.
Sembrava passato un secolo, da quando mi ero rintanata sotto le coperte quel lunedì bruttissimo, il peggiore che avessi mai vissuto.
Da quella volta, non avevo visto, né sentito, alcuna moto, appostarsi sotto il mio balcone e mi sembrò già abbastanza strano quella volta.
Tuttavia, non volevo illudermi che fosse passato di qui per me, forse fu una semplice casualità.
Era meglio pensarla in quel modo, nonostante l'unica persona che più mi era mancata in quei giorni, fosse proprio lui.
Ero in quella fase, in cui ricaderci era facile, ma non vedendolo, pensavo, che avesse in parte, placato i miei sentimenti per lui, invece, fu molto peggio di quando avessi mai potuto immaginare.
C'era volte, in cui ricordavo con piacere, tutti i bei momenti trascorsi insieme e il cuore mi batteva fortissimo, non mi ero inventata nulla, ma forse lui era un bravo attore ed io dovevo solo prenderne attimo.
Ma poi c'erano quelle altre volte, dove il cuore faceva tremendamente male ed io mi odiavo per avergli permesso di avvicinarsi in quel modo a me e non solo fisicamente parlando.
Lui mi era entrato in testa ed ero sicura che farcelo uscire, non sarebbe stata impresa facile, ma potevo comunque provarci.
Era inutile correre dietro qualcosa di irraggiungibile, per quanto io lo volessi, non pensavo affatto che lui avrebbe rallentato, per farmi camminare al suo fianco.
Aggrottai le sopracciglia, quando intravidi una mia amica usare un telefono, nascondendolo sotto un cuscino, poggiato sulle sue gambe.
Ero proprio l'unica stupida, della mia età, a non averlo.
Scossi il capo, richiamandola a bassa voce.
"Violet", si girò, strabuzzando gli occhi, non appena si rese conto di quello che stavo guardando.
"Krystal io...".
"Hey tranquilla, non sono una spiona", le sorrisi, per tranquillizzarla. "Volevo solo sapere quanto ti è costato?".
"Oh", arrossì. "Scusami, ho frainteso", si giustificò, nascondendolo in tasca. "In realtà non lo so, è di un mio amico, non credo che possiamo permettercelo noi", mi guardò triste.
"Già, lo penso anch'io", dissi, avvolgendomi meglio nella coperta.
Non capì il perché di quella domanda, non mi era mai importato avere un cellulare, ma sopratutto non avevo nessuno da contattare, per quanto triste, era questa la verità.
Tornai a guardare la TV, notando che stavano dando un vecchio film, che io avrei visto e rivisto cento volte; Ghost.
Avevo sempre pensato che quel film, fosse la spiegazione, di quanto grande potesse essere il vero amore, un amore che superava i confini della vita.
Qualche anno fa, mi sarei anche emozionata nel riguardarlo, ma attualmente la mia condizione sentimentalmente, era assai più tragica ed avevo pianto già abbastanza in quei giorni, liberando forse le tante cose che mi ero portata dentro negli anni.
Un'ora dopo, il film era finito, era pomeriggio inoltrato e fuori pioveva.
Molte ragazzine se ne tornarono nelle proprie stanze, per potersi preparare per la cena, ma avevo mangiato così tanti biscotti, da non avere per nulla fame.
Sarei tornata anch'io nella mia stanza, dove in teoria doveva esserci anche Tate, ma aveva chiesto un permesso straordinario alla Morris, raccontandole del suo improvviso innamoramento e lei aveva accettano.
Almeno per quella notte, avrei potuto dormire con le finestre chiuse.
Feci la solita doccia serale, infilando una maglia lunga e delle parigine che mi arrivavano poco su il ginocchio.
Passai le dita fra i capelli umidi, quando sentì un tonfo provenire aldilà della porta, che separava il bagno dalla mia stanza.
Esitante, sbloccai la serratura, pensando di trovare Tate o la Morris, ma per poco non mi misi ad urlare, quando notai qualcuno, completamente vestito di nero, accasciato a terra.
"Oddio", mi piegai, quando quel qualcuno si girò e cavolo, avrei fatto bene ad urlare.
"Maledette scarpe", imprecò, calciando via gli stivali che Tate, si ostinava a lasciare in giro.
"C-che ci fai qui?". Balbettai, guardando verso la finestra, che ero sicura, avevo chiuso prima di scendere.
Si alzò, passandosi le mani sui jeans neri, prima di guardarmi.
Le mie labbra si schiusero in sorpresa, quando notai le sue condizioni.
"Cosa hai fatto all'occhio?". Mi avvicinai di poco, fermandomi l'attimo dopo, quando ricordai chi avessi davanti a me.
Un bugiardo, un ladro.
"Sei sparita", disse, il tono piatto, gli occhi fissi nei miei.
"Ti ho fatto una domanda?".
Un milione di emozioni, mi colpirono tutte nello stesse instante.
Ero contenta ed arrabbiata al contempo di trovarmelo di fronte, indubbiamente Damon aveva una gran bella faccia tosta.
"Due, per essere precisi", sghignazzò. "E in meno di due minuti", aggiunse, beffardo.
"Beh, potresti anche rispondermi", sbottai, camminando nervosamente verso il mio letto.
"Un lavoro finito male, non chiedermi altro", sbuffó, facendo vagare lo sguardo per la stanza, era ovvio che quella fosse solo una minima verità, ma al momento, potevo farmela bastare. "Ora tacca a te", incrociò le braccia al petto, tornando a guardarmi con fare circospetto. "Che fine hai fatto?".
Quella sera era davvero un gran chiacchierone, strano, pensai.
"Non stavo bene", dissi semplicemente, arricciando le dita dei piedi, mentre sentivo ancora il suo sguardo, pungere su di me.
"Cosa avevi?". Il suo fu poco più di un sussurro.
"Febbre, nulla di grave", scollai le spalle, mordicchiandomi il labbro.
Temevo che prima o poi mi sarei fatta scappare qualcosa di sconveniente, tuttavia, non pensavo di avere tanto coraggio, nonostante, nei giorni precedenti, avevo ripetuto più volte nella mia mente, il discorso che avrei voluto fargli, non appena lo avessi visto.
Ma la realtà era diversa ed io non avrei mai compiuto il primo passo.
"Ora stai meglio?". Sentì il materasso abbassarsi, si era seduto al mio fianco, abbastanza lontano per sfiorarci, ma abbastanza vicini da lasciarmi inebriare dal suo bellissimo profumo.
"Si, la febbre è sparita, credo che lunedì torno a scuola", dissi, sempre più a disagio.
"Bene", mormorò, sfregando le mani sulle sue ginocchia.
"Come mai qui?". Richiesi, sperando di ottenere qualcosa, stavolta.
"Ero di strada", replicò, lasciandomi l'amaro in bocca.
Era furbo e sapeva come sviare una domanda e cui non gli conveniva rispondere.
"E?".
"Cosa?". Ci guardammo nello stesso momento, ma con espressioni totalmente opposte.
"Io non ti capisco", ammisi, rilasciando un lungo respiro.
Lui sorrise, infilando un dito nella mia guancia che si era gonfiata di poco.
"Meglio", lo sentì ridacchiare, scuotendo il capo.
"Ti fa molto male?". Guardai preoccupata il suo occhio malconcio, che a stento riusciva a tenere aperto.
"No", disse, non smettendo di guardarmi per un sol secondo.
Effettivamente, ne era passato di tempo dall'ultima volta che eravamo stati insieme ed io attualmente non sapevo come interpretare tutto questo.
Lui non avrebbe accennato, neppure per sbaglio, a quel bacio.
Ne ero certa.
Damon, dava l'impressione di uno che non doveva giustificarsi con nessuno e non l'avrebbe fatto di certo con me, purtroppo.
Avrei dovuto cacciarlo e trattarlo in malo modo, ma non ci riuscivo, non solo per quello che la Morris mi aveva insegnato nel corso della mia vita, ma fondamentalmente, perché si trattava di lui ed io, lui, non lo avrei mai rifiutato o allontanato da me.
Non ci sarei mai riuscita, nonostante sapessi bene che quella fosse l'unica cosa che mi avrebbe tirata fuori, dall'inferno in cui Damon, mi stava trascinando.
"Mi dispiace", dissi.
"Di cosa?". Si accigliò.
"Che qualcuno ti abbia fatto del male", risposi, in tono ovvio.
Un ghigno enorme, si espanse sul suo viso. "Non dispiacerti, avresti dovuto vedere lui".
"Meglio di no", borbottai, impaurita dalle strane idee che stavano cominciando a balenarmi per la testa, Tate mi aveva accenno qualcosa, ma io mi ero categoricamente rifiutata di ascoltarla, inventandomi un improvviso mal di testa, al quale neppure lei aveva creduto.
"Meglio di no", concordò, guardandomi con la coda dell'occhio, mentre mi infilavo sotto le coperte.
"Ehm, ho un po' freddo", spiegai, senza un reale motivo.
"La tua amica ti ha abbandonata per qualche altra festa da urlo?".
"Adesso ha un ragazzo", dissi, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"E quindi può lasciarti sola quando stai poco bene?".
Il suo tono accusatorio, mi infastidì.
"Ora sto bene", replicai stizzita. "Tu non avevi nessuna festa in programma a cui partecipare?".
"Parecchie", alzó un angolo delle sue labbra, facendo un mezzo sorriso.
"Beh, sei ancora in tempo", dissi, fissando l'orologio al muro, che indicava le otto di sera.
"Stasera non ne ho voglia", fu la sua risposta, mentre con una mano spostava le lenzuola verso l'alto per coprirmi meglio.
Non sapevo che dire, così mi limitai ad annuire, poggiando la testa sul cuscino.
"Hai già guadato la tua amica luna oggi?".
Strabuzzai gli occhi, quando si tolse le scarpe, stendendosi al mio fianco, ma al di sopra della coperte.
"Non prendermi in giro", sbuffai, cercando di calmare i battiti del mio cuore.
"Non lo stavo facendo", incrociò le braccia al di sotto della sua testa, a mò di cuscino, mentre fissava il soffitto.
"Questa sera no", dissi, girando il capo nella sua direzione, dove avevo una fantastica visione del suo profilo scolpito. "Qualcuno ha cambiato i miei piani", aggiunsi con un mezzo sorriso.
"Ah sì?". Imitò i miei gesti e fu così che ci ritrovammo occhi dentro occhi.
"Si", confermai.
"Si può sempre recuperare", il suo sguardo cadde sulle mie labbra, improvvisamente secche.
"Solo alcune cose", dissi, con un groppo in gola.
"Già", distolse rapidamente lo sguardo avido dal mio. "Ma per questo, non credo ci siano problemi".
Si girò, mettendosi a pancia sotto.
In quei giorni avevo posizionato il mio letto in modo da poter guardare la luna anche da lì, avevo fatto un ottimo lavoro.
Mi girai anch'io, cercando di mantenere lo sguardo fisso davanti a me, ma era difficile, quando tutto ciò che avrei voluto ammirare per sempre, lo avevo al mio fianco.
Restammo in silenzio, un silenzio piacevole e rilassante, fin quando, ormai sfinita da quella giornata, poggiai il capo sul cuscino e in meno di venti secondi, non sentì più nulla, al di fuori, del tocco delicato di dita ruvide che sfioravano il mio viso.

SweetWhere stories live. Discover now