Dai, vieni

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Alex si alza, quasi infastidito.

«Ok, io devo andare» dice salutando veloce, prendendo le scale.

«Andiamo in centro per un kebab? Il gruppo della pallamano non c'è» propone Elisa, mentre guardo Alex correre via, orfano di un ultimo sguardo.

Francesca concorda con Elisa. Luca concorda con Francesca.

Io sono completamente squinternato.

«Raga, io torno a casa che mi scoppia la testa.»

Devo mettere in ordine troppe cose, fare un settaggio completo dei pensieri.



Parigi, fotografi, case di moda e capitani di pallamano.

Ma vuoi mettere con me? No, dico, uno splendido e ordinario studente dello scientifico, tennista, ammalato di crisi d'identità.



"Posso venire al Centro, per vederti giocare?" mi scrive Elisa, su WhatsApp.

Mi metto a ridere tra me e me. Che paracula.

"Eli, gioco con Riccardo dalle 18 alle 20, ma la squadra di pallamano fa l'allenamento pre-partita alle 19 + emoji che strizza l'occhio".

"Ok, allora arrivo alle 19 + emoji raggiante che mostra i denti".

Ma dopo un'ora di palline tirate a cazzo, Riccardo sbotta.

«Rugo, guarda, facciamo basta. Si vede che oggi non è aria» dice iniziando a raccogliere le palline e a intubarle, stizzito.

Sistemo le corde della racchetta, indifferente e piccato.

«Avvisi tu il custode che lasciamo il campo?» chiede, andando via.

«Sì, faccio io.»

«Ok, ci sentiamo.»

Riccardo è uno che va per le spicce. Ci troviamo bene a giocare, ma non più di questo. In fondo mi piace che sia così diretto. Basto io a complicare le cose.

Tornando verso il pallone, incontro Elisa, in tuta, felpa e chignon. Mi sa che si è pure truccata.

«Oh, Eli, niente, non beccavo una pallina oggi. Abbiamo smesso.»

«Ah, cavolo...» è delusa ovviamente perché pensa di non poter più vedere Capitan Fra.

Ma, signore e signori, eccolo che sbuca atletico e scultoreo dal plesso degli spogliatoi.

«Ciao!» saluta venendoci incontro, cordiale, trasportando bicipiti e charme.

Io ho il sorriso estinto, Eli invece è la dea dell'euforia.

«Ma non avevi il campo prenotato fino alle 8?» chiede.

E lui come lo sa? Cazzo fa, spia?

«Sì, ma abbiamo smesso prima.»

Nel momento in cui Capitan Fra si volta a salutare un compagno, Eli mi appioppa una gomitata che quasi mi ammazza.

«Ah, lei è Elisa» dico, prima di esalare l'ultimo respiro.

«Ciao, Francesco» fa lui.

E' molto cortese. Che dire, un gentleman.

Elisa ha un campionario di sfumature fucsia sulla faccia e vorrei davvero salvarla da se stessa, ma sono troppo giù di mio.

«Vi lascio un attimo, devo avvisare il custode.»

Mentre mi allontano verso il casottino, sento Capitan Fra dire a Elisa: «Scusa un attimo» e poi urlare: «Rugo, aspetta!»

Ma si può sapere che cazzo vuole questo, oggi?

«Senti, domenica il Centro organizza una serata aperta anche ai non tesserati. Porti un po' di gente? Si paga un forfait di 10 euro. Offrono panini e birra a volontà.»

«Domenica questa? Da che ora.»

E ci sarà Alex? No, basta, Alex.

«Sì, dopo domani. Dalle 8, più o meno. Porta più gente possibile, tipo gli amici tuoi. Il Centro vuole farsi pubblicità.»

Elisa ci raggiunge col cellulare in mano.

«Ciao, scusate, ma devo tornare a casa, mia madre mi sta rompendo le palle.»

«Ok, ciao, vieni anche tu, domenica? Poi Rugo ti spiega.»

Elisa mi arpiona con gli occhi, in estasi per l'invito.

Ma domenica, all'ultimo, invento che non mi sento bene, che ho mal di testa e forse la febbre. Non voglio rischiare di vedere Alex.

Non so come comportarmi, non so più neanche cosa desiderare.

Durante la serata, mi arriva il messaggio di Filippo:

"Sei una sòla".

Visualizzo, ma non rispondo.

Mi sparo in cuffia gli Arctic Monkeys e cerco di spegnere il cervello per non essere tentato di guardare le storie della cricca, tutta al Centro, alla ricerca di Alex alle loro spalle.

Dopo neanche dieci minuti, mi arriva un'altra notifica. Sto per mandare a fanculo l'interlocutore, quando vedo che è di Instagram.

"Sono al Centro, ma tu non ci sei" mi scrive Alex.

Sbatto le palpebre per ossigenare il cervello.

Ho il cuore che va per i cazzi suoi.

Sono quasi tentato di raggiungerlo. Il Centro è a cinque minuti da casa mia. Ma prima , poi no, poi , dai, non posso.

"Dovevamo finire un discorso" scrive ancora. "Ci sei?" chiede, perché visualizzo senza rispondere.

"Sì"

"Perché non sei qui?"

"Credo di avere la febbre"

"Ma te la sei misurata, almeno?"

"No"

"Dai, vieni"

Dai, vieni. Un sasso caldo sopra un cuore di neve.

"Troppo casino" sono costretto a creare per essere coerente.

"Allora ci vediamo al parco, lì vicino. Il bar l'hanno chiuso, ma ci mettiamo sul prato. Non c'è nessuno"

Tipo: io e te.

"Ok, dammi un quarto d'ora"

Poi mi porto le mani sulla faccia. Cosa ho fatto. Sono fuori di testa.

Dai, vieni.

Mi lavo e deodoro in tre minuti, infilo felpa e scarpe.

«Mamma, esco mezzora» dico passando davanti la sua camera.

«Ma a quest'ora?»

«Faccio una cosa veloce» dico filando via.

E se mi beccano con lui? Sanno che non esco perché sto male.

Per fortuna, al parco non c'è quasi nessuno, anche se fa ancora caldo in questa serata d'ottobre tutta strana.

E' piuttosto buio, i lampioni sono pochi, e sento l'odore della pineta.

Imbocco la salita che porta al bar. Lui è lassù, che mi aspetta.

Dai, vieni.

Respiro.

«Ciao» mi saluta Alex, con un'espressione dolce.

Ha le mani in tasca e quando mi fermo davanti a lui, muove un braccio verso di me, un abbozzo di carezza.

«Ciao» saluto con un'espressione idiota. Ma, credo, dolce pure io.

«Ci mettiamo là?» chiede, indicando con la testa i gradoni dell'anfiteatro dove organizzano gli spettacoli, d'estate.

Forse il buio mi salverà dai suoi occhi e riuscirò a sembrare normale.

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