La responsabilità

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Sono al parco, aggrappato alle fibbie dello zaino, mentre calcio ciottoli a caso. L'ansia mi sta divorando e non mi fa sentire il freddo.

Nuvole scure si addensano sopra e dentro di me.

Alex è in ritardo. Forse ha deciso di non venire più.

Sono venti minuti che lo aspetto e ho già pensato di scappare trenta volte.

Ma ormai è tardi. Eccolo che sta arrivando, lentamente, blindato dietro a un paio di occhiali scuri, bellissimo, come qualcosa che non potrò più riavere. E voglio morire. Un dolore pulsante m'invade e non mi lascia più.

Lui è serio.

Mi focalizzo sul mantra di mio padre: Prenditi le tue responsabilità. Di quello che fai e di quello che senti. Respiro, ma non serve a niente. L'aria mi manca.

«Ciao» lo saluto, abbozzando l'idea di sorriso. Ma produco solo un taglio sulla mia faccia.

Lui annuisce, non si spreca nemmeno a rispondermi. Non potrò abbracciarlo mai più. Mando giù il pianto. Mi incammino, perché il movimento mi aiuta a gestire il senso di oppressione e così posso evitare di guardarlo. Sento il suo profumo. Di mondi che ho conosciuto.

In giro non c'è nessuno. E' quasi gelato, il parco non invita a farsi frequentare.

Devo iniziare da qualche parte.

«Mi dispiace che sabato sei andato via così. Non ho potuto nemmeno salutarti.»

Ma non risponde.

«Di' quello che devi dire» proclama invece, con durezza.

Ok, la vuole prendere di petto. Quindi si sente preparato? Perché io no. Io no, cazzo. Non voglio. Non voglio farlo più, non ci riesco. Con tutto quello che ha passato e che sta passando, devo usargli pure quest'ultima crudeltà? Gli voglio troppo bene, come posso farlo?

Ma appunto perché ci tengo così tanto.

«Sabato mi hai chiesto se mi piaceva Filippo. Non ti ho più risposto.»

Lui tira un sospiro tremante, credo si prepari al colpo che lo aspetta. E' lo stesso che aspetta me.

«E, sì. Mi piace.»

Annuisce ancora, guardandosi attorno, forse vuole andare via.

«Quindi vi siete messi insieme» mi parla scontroso, glaciale. Stento quasi a riconoscere la sua voce. Sembrano battute imparate a memoria.

«No. Filippo sta con Leo.» Devo tenermi in questo bilico scomodo.

Lui si ferma e si gira verso di me. Per fortuna non vedo i suoi occhi. Dio, per fortuna posso sperare di salvarmi.

«Ma... allora...» è perplesso «non vuoi lasciarmi» dice, con un accenno di speranza che mi massacra in maniera definitiva. No, non ce la faccio.

Alex vede la mia esitazione e usa questo spazio per contrattaccare.

«Non vuoi darci nemmeno una possibilità?»

Oddio, non ero pronto a una reazione del genere. Non ero pronto a niente, in effetti. Mi sento sbriciolare dentro. Inizio a sudare freddo e a tremare. Il gelo si insinua dappertutto.

«Vuoi buttare tutto quello che c'è tra noi? Senza neanche provare a farla crescere, questa cosa. Buttarla davvero al vento, così?» Non so cosa dire. La sua voce diventa più elettrica. «Non sai nemmeno dove potremmo arrivare io e te!»

No, io non ce la faccio. Non ce la faccio.

Parla, di' qualcosa.

«Non vorrei buttare via niente, Alex. Ma questa storia di Filippo...» Cosa? Cosa gli dico per non fargli male? Esiste il modo? «Non l'avevo prevista... insomma... non sarebbe giusto, no? Continuare... a stare insieme.»

«Perché?»

Vado in confusione, non riesco a ragionare, non so argomentare, non so più cosa sto dicendo.

«Come posso stare con te, se... provo questo sentimento per... Filippo.»

La sua faccia si deforma con un'espressione terribile. Ormai ha capito.

«Alex...» devi essere forte, Cri, e deciso. Ma ti prego, gentile. Gentile, gentile, gentile, ti prego. Arranco col respiro. Lo devi dire. Deglutisco. «Alex... non posso più stare con te.» Soffoco un singhiozzo. «Mi devasta, perché lo sai che ti voglio bene e che mi piaci. Tanto. Ma il fatto è che con Filippo... noi...»

«Sta' zitto!» urla a pieni polmoni.

Sto zitto.

«Dopo tutto quello che ti ho detto di me...» ha la voce rotta. Dio, no, non ce la faccio, non ce la posso fare. «Dopo che ti ho detto tutto... di me...» Mi dà una spinta a due mani che mi fa indietreggiare. «Io mi fidavo di te!» Adesso urla e mi spinge ancora. «E che cazzo piangi?! Ipocrita!» Mi asciugo le lacrime, ma è inutile. «Sei uno stronzo! Mi hai usato per farlo ingelosire?»

«Ma cosa dici...»

«Vaffanculo, Cri! Vaffanculo!»

«Che c'è? Che succede?»

Ci giriamo entrambi verso la voce che irrompe nella nostra disperazione più completa.

E' Giulio che arriva di corsa, con un amico nuovo. Che cazzo ci fa lui qui? Che cazzo vuole adesso?

Lo stronzo si allarma perché vede piangere Alex. E notando me, non gli pare vero.

«Che gli hai fatto?» mi chiede, dandomi una spinta a due mani così forte che cado all'indietro. Sono talmente distrutto e zavorrato dallo zaino, che resto a terra.

«Tutto bene, Alex?» chiede Giulio, con una piccolissima dose di tenerezza, ma comunque eccezionale.

Alex sta singhiozzando e Giulio non sa cosa fare, perché non è solo. Quindi può solo manifestare la rabbia contro di me, per la frustrazione di non poter abbracciare Alex.

Mi dà un calcio alle gambe.

«Pezzo di merda! Che cazzo gli hai fatto?»

Mi asciugo le lacrime e mi rimetto in piedi. Vorrei che mi prendesse a pugni per espiare le colpe, che continuasse fino a farmi svenire.

Quando Giulio vede che non reagisco, capisce che mi merito tutto. Mi spinge ancora forte, per farmi cadere di nuovo. E vado giù, perché mi sento morire di mio. L'altro assiste, ma non osa intervenire.

«Non fargli male» dice Alex.

Ma preferisce sferrarmi un calcio sul fianco, giusto per appagamento. E me lo tengo. Gemo solo per tristezza, il dolore fisico non lo sento, non sento niente. Non ci provo nemmeno a reagire.

«Giulio!» urla Alex isterico. «Andiamo via!»

Giulio mi sferra un altro calcio forte alla gamba, e si porta via Alex tirandolo in malo modo per il giubbetto.

Mi rannicchio contro una corteccia ruvida, mentre guardo il mondo girare al contrario.

GabbianiDär berättelser lever. Upptäck nu