Il funambolo

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Quando Alex smette di piangere, lo sento ancora sussultare di tanto in tanto, fra le mie braccia, con la schiena appoggiata sul mio petto.

Siamo distesi sul letto, sotto un plaid pesante con cui l'ho coperto perché a un tratto ha iniziato a tremare e non sapevo più se fosse per il freddo o per il pianto.

La luce fuori è crollata e restiamo nel pallido chiarore dei led.

Sono preoccupato per l'improvvisa fragilità che mi ha buttato addosso senza il minimo preavviso. Non lo so se sono emotivamente pronto a tanto.

Vorrei aspettare che sia lui a parlarne, che si senta forte per farlo, di qualsiasi cosa si tratti, senza forzare niente, ma la sua disperazione è così devastante per me, che un tentativo lo voglio fare lo stesso, anche se ho paura di fargli male.

Gli do un bacio sul collo e gli accarezzo la mano.

«Alex...» lascio che la mia voce riempia il silenzio per un attimo, per riabituarci a parlare. «Lo so che è colpa del nostro litigio, se stai così, però... c'è dell'altro, vero?» azzardo.

Lui si spinge contro di me per fare in modo di essere avvolto meglio nell'abbraccio.

«Riuscirai mai a parlarne con me?»

Non dice niente, prende la mia mano. Gli bacio i capelli. Lui aspetta tanto, minuti, non so più quanti. Il tempo non esiste.

«Mia madre non è a Madrid» dice. La sua voce è completamente alterata. Quasi non sembra la sua. E forse è meglio così, se devo sentire una cosa terribile che lo riguarda.

«E' in una clinica, dopo che mi ha mandato in ospedale con tre costole rotte e una spalla lussata.» Mi ha mandato? «Mi ha tramortito lanciandomi un pesante vaso di vetro e ha continuato a colpirmi. E solo perché le avevo nascosto le pillole. Si strafà di psicofarmaci e alcol e altro, da sempre. Non era la prima volta che andavo in ospedale per colpa sua. Per questo vivevo con mia nonna. Che l'ha sempre coperta.»

Oddio.

«Non la vedo da mesi. Non vuole vedermi. Per vergogna? Non lo so. Non mi frega niente di quella stronza» dice. Ma si capisce che mente, che gli importa eccome. Mi sento bruciare di tristezza.

Lo stringo. Deve essergli piovuto addosso il malessere tutto in una volta. Lo ha sopraffatto. E' colpa mia.

«Qualche settimana fa, Fra si è lasciato sfuggire la frase Alex deve stare tranquillo. Avevo capito che c'era qualcosa di brutto che ti era successo.»

Lui si gira piano verso di me e mi si raggomitola contro. Nasconde il viso sulla spalla e non riesco a guardarlo in faccia.

«Non è per quello, Cri. Lui si riferisce ad altro.»

Raggelo e adesso sento il cuore battere forte e a mille. Lui mi dà alcuni piccoli baci sul petto perché credo che lo senta, anche attraverso la maglia. Sale col viso vicino al mio viso, ha gli occhi gonfi, anche il naso è arrossato. Mi bacia la guancia e la bocca, poi scende di nuovo col viso sulla spalla.

Aspetto che parli. Forse vuole trovare le parole. O il coraggio. O la forza. Non lo so.

«Eravamo a casa di mia madre a Milano, a una festa. Ma quelli di mia madre erano festini, più che altro, girava sempre di tutto. Fra era in vacanza da noi, ma era uscito, perché aveva conosciuto una tipa. A fine serata, sono rimasto con mia madre, seminuda e strafatta su una poltrona, niente di strano per me, e con un uomo, un produttore spagnolo.» Tira un respiro lento. «Ti do la versione breve. A un certo punto, mentre parlavamo, mi ha fatto delle avances e io l'ho respinto. Lui è diventato aggressivo, mi ha bloccato contro il divano, era troppo forte rispetto a me, e si è preso quello che ha voluto. Quando Fra è rientrato, mi ha sentito urlare, ha visto la scena, ha cercato di aggredirlo. Ma era il doppio di lui, Fra non era ancora come adesso. E quello è scappato.»

GabbianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora