State insieme?

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Io e Alex siamo in piedi, davanti al cancello, impalati.

Mai un meteorite che si schianti sulla Terra, quando serve.

Mi tocca viverlo tutto, questo imbarazzo.

Come posso spiegargli quello che è appena successo, senza fargli capire quanto mi piace?

Alex mi fissa, è molto confuso.

E, davvero, ora vorrei abbracciarlo e dirgli che non importa, che va tutto bene, di smetterla di guardarmi così.

Non sopporto l'ombra scura nei suoi occhi, non ce la faccio. E' più forte di me, mi sento le gambe tremare.

«Vieni» dico, facendo dietro front, verso lo spogliatoio.

Devo spostarmi, il movimento risolve sempre.

«Hai cenato?» chiedo.

«No.»

«Facciamo così, lascio il borsone e ci facciamo un Mc veloce? Ci arriviamo a piedi.»

«Ok.»

Ho come l'impressione che direbbe a qualsiasi mia proposta, in questo momento. Devo aver fatto una faccia davvero sconvolta, prima.

«Lo riprendo domani, tanto tra poco il custode chiude. Mi aspetti?»

«Ok.»

E' lapidario.

A passo svelto torno dentro e lascio la roba. Ho paura di non trovare più Alex.

Ma lui è lì, giù di tono, a fare i suoi semicerchi con la punta delle scarpe. E so che è colpa mia. Dio, mi sento male.

Il mio stomaco assomiglia a un pugno.

«Ti dispiace se facciamo prima due passi al parco?» chiedo, gentile.

«Meglio, sì, anche perché non ho fame» dice, serio.

«Vieni, tagliamo di qua» suggerisco, prendendo la collinetta che porta al parco. «E' ripida, ma arriviamo prima.»

Lui mi segue, prendiamo la rincorsa e in quattro balzi siamo sopra, nell'anello esterno della pineta.

«Hai freddo?» chiedo, perché sembra rabbrividire.

«No.»

Ci spostiamo nella piccola radura dove ci sono un'altalena e un tappeto elastico.

E' il punto più buio. Il lampione ci arriva a malapena. E credo che l'oscurità sia la scelta più saggia per nasconderci, in questo momento.

Ci sediamo sull'altalena, l'uno accanto all'altro, con le mani strette alla catene e i piedi a terra, a dondolarci appena.

Faccio un sospiro così profondo che Alex si volta verso di me.

«Posso farti una domanda molto personale?» chiedo.

Oddio, ci sono, mi sono lanciato.

Sento il cuore che va a 180 contromano.

Alex mi guarda. Non mi risponde a voce, ma lo fa con i suoi occhi impauriti che mi dicono "ok".

«Ma tu e Capitan Fra...» inizio e non finisco la frase.

Lui mi fissa, in attesa, corruga le sopracciglia.

Vorrei restare così per sempre, ancorato ai suoi occhi, senza sapere la risposta.

Mi alzo perché non riesco a stare fermo. Cerco il coraggio nell'orizzonte nero.

Dai, dillo.

«State insieme?»

Cazzo, l'ho detto.

Lui è perplesso.

«Insieme?» ripete.

«Insieme» ripeto.

«Cioè, dici come coppia?»

«Esatto, sì, state insieme come coppia?» e cerco di guardarlo, di essere pronto.

Alex scoppia a ridere, si alza, come liberato da un peso enorme.

«Ma vaffanculo! Per questo hai fatto quella faccia, prima? Mi hai fatto morire!»

Io sono sconcertato. Quindi è un sì o è un no?

Si ferma davanti a me. Sorride. E' bellissimo.

Ti prego, dimmi di no.

Deglutisco, senza respirare.

«E' mio fratello» dice. «Francesco è mio fratello.»

Sbatto le ciglia alcune volte per far ingranare il cervello. Ma gira tutto a vuoto.

«In che senso?»

Ride.

«Nel senso che siamo fratellastri, ma è brutto dirlo così. Mio padre è il suo patrigno, e vive con Fra e la mamma di Fra. Ma da tanti anni, ormai. Siamo molto legati.»

«Ma non ti ho mai visto, in giro. Cioè, solo negli ultimi tempi.»

Cazzo, questa m'è sfuggita. E' un'ammissione bella e buona.

«Perché ho vissuto quasi sempre a Milano. Da qualche mese, però, mi sono trasferito qui, a casa sua, perché mia madre... Ok, è una lunga faccenda. Ma siamo fratelli.»

Un sollievo strano e confuso mi cade addosso insieme a una spossatezza senza precedenti.

Mi schianto sull'altalena e lui pure si siede.

Mi guarda, adesso, con tutta la faccia da presa per il culo.

«Quindi tu, per tutto il tempo, hai pensato che io e Fra stessimo insieme?»

Mi sento davvero molto scemo.

«Non lo so cosa pensavo. Però, sì. Poteva essere, no? Visto che lui è sempre così... protettivo.»

«Rompicoglioni, vuoi dire.»

A un tratto, smettiamo di sorridere e ci rintaniamo nel silenzio.

E' profondo, ma senza imbarazzo. Come se ci stessimo allineando l'un l'altro, sciogliendo le ultime distanze.

«Beh, vuol dire che ci tiene a te, no?» dico, con dolcezza.

Ci guardiamo. I suoi occhi, adesso, vogliono tutta la mia attenzione. Riesce a sgretolarmi anche nell'ombra.

«E tu?» chiede, fragile.

Io? Io, cosa?

La verità si incaglia nelle mie insicurezze e per fortuna il suo cellulare squilla e mi salva dalla mancata risposta.

«E' Fra» dice alzandosi e rispondendo.

Capitan Fra che deve aver capito tutto, tra l'altro, di me e suo fratello.

«Mi aspetta davanti al Centro» dice.

«Ma non aveva detto che dovevi tornare a casa a piedi?»

Scoppia a ridere.

«Te l'ho detto che è un rompicoglioni.» Poi però torna serio. «Ha paura di Giò. Non vuole che sto in giro da solo, di sera, in questi giorni.»

«Perché ha paura di Giò?»

Ho paura anch'io adesso. Che vuole ancora Giò?

Ma sentiamo la moto di Capitan Fra che arriva gracchiando sotto di noi e scendiamo di corsa la collinetta e ce lo troviamo davanti.

Capitan Fra va per le spicce, non si toglie il casco, gli porge quello che ha infilato al braccio.

«Ok, ciao» mi dice Alex, abbassando la visiera.

«Ciao» saluto, sollevando la mano.

Mentre lo vedo schizzare via, mi rendo conto che non ci siamo ancora mai chiamati per nome.

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