Rivelazioni

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Filippo cammina davanti a me con passo spedito per allontanarmi, nascosto dal cappuccio della felpa sotto al giaccone.

Siamo in una zona residenziale immersa nel silenzio totale e piuttosto lontana dalle nostre case. Non ho voglia di affrontare l'argomento stasera, ma non posso lasciarlo solo in questo stato.

«Lasciami stare» dice stizzito, facendo un gesto secco con il braccio per tenermi indietro e accelerando l'andatura.

Dato che è sconvolto e ci sono cose che a quanto pare non so, ci vado piano.

«Ok, va bene, non parliamo, però ti accompagno a casa" dico con tono duro e autoritario.

Mentre camminiamo sul marciapiede, all'ombra dei lampioni del viale alberato, si sentono i nostri passi risuonare attraverso l'umidità. Lui si ferma e si gira, con le mani appese alle cinghie dello zaino. Lo raggiungo. Gli stringo le spalle con le mani e cerco il suo sguardo, lui le scrolla di dosso, seccato.

«Non mi toccare» dice, cattivo.

Addirittura. Addirittura non devo toccarlo. Lo lascio andare all'istante. E dal suo sguardo subito dispiaciuto capisco che non era sua intenzione ferirmi. Vedo solo che è furioso e triste e agitato. E' un'accozzaglia di sentimenti che esplodono nei suoi occhi e dentro i suoi muscoli tesi, ma non riesco a leggerlo come invece faccio di solito.

Filippo mi guarda e mi sembra di avere uno spazio per indagare.

«Perché ce l'hai con me? Per via di Alex?» chiedo, di getto. Ormai devo trovare il coraggio, da qualche parte.

Lui si porta le mani sui capelli, indietreggiando stravolto, e si guarda in giro scuotendo la testa.

«Smetti di parlare, Rugo, smettila!»

Ha paura forse che ci perderemo? Che questa cosa con Alex lo metterà in secondo piano? Ma come potrebbe mai pensare questo, se dopo la morte di mio padre è stata la persona più importante della mia vita. Non ce l'avrei mai fatta senza di lui, dopo l'incidente, in ospedale, e poi ancora a casa, per tutto il mese successivo, dormiva con me mentre sentivamo mia madre piangere in camera.

A volte, mi svegliavo, di notte, e lo sorprendevo a fissarmi. Lo perculavo chiamandolo l'angelo della notte.

Filippo mi guarda addolorato e non so quali parole dire per fagli capire che la nostra amicizia non sarà mai messa in discussione da nessuno.

«Fili...»

Filippo ha gli occhi lucidi e la sua rabbia sembra sparita, calata come il vento. Mi lancia addosso solo uno strano spavento. Sembra terrorizzato da quello che potrei dire. Mi sento davvero confuso. Ma devo iniziare da qualche parte:

«Qualsiasi cosa accadrà, io e te saremo sempre noi, giusto?»

Si lascia avvicinare, eppure mi sembra un cavallo imbizzarrito, ho paura che scappi o che mi aggredisca o che si metta a urlare.

Si nasconde il viso, stringendosi nelle spalle e portandosi le dita sugli occhi.

Cazzo, perché ogni cosa che dico sembra ferirlo?

«Non so cos'hai, ma credimi le ho pensate davvero tutte.» Lui mi guarda di scatto, con gli occhi lucidi. «Ho pensato che mi stai giudicando per via di...» ma non oso finire la frase. «E poi ho pensato che forse hai paura che la nostra amicizia verrà messa in secondo piano. E' così? E' per questo?»

Sto malissimo a vederlo così.

«Non le hai pensate tutte» dice, serio. Poi alza la voce, di nuovo cattivo: «Non le hai pensate tutte! Non capisci mai un cazzo!» Si calma, torna triste e se ne va. «Lasciami stare.»

Cosa vuol dire? Cosa non ho pensato? Mi guardo attorno come se la riposta fosse nel buio che si estende oltre i lampioni.

«Allora facciamo che qualsiasi cosa sia, io e te saremo amici, sempre. Qualsiasi cosa accada» gli dico rincorrendolo.

E lo sento adesso che respira forte e che soffoca un singhiozzo, come se lo avessi spezzato definitivamente.

«Smettila, Cri, ti prego, mi stai massacrando» mi supplica senza voce, piangendo. «Non ti rendi conto.» Singhiozza disperato.

Lo massacro? Ma perché? Ora sento anch'io le lacrime che mi bruciano agli occhi e faccio per abbracciarlo, perché non sopporto vederlo così.

«Fili, ti prego. Dimmi che c'è.»

Cerco di stringerlo, ma resiste e si divincola.

La verità mi arriva ora, vedendolo andare via di spalle, mentre lo sento piangere nascosto nel cappuccio della felpa.

Ripenso a qualche giorno fa, dopo la cena chili a casa mia, quando svegliandomi di soprassalto l'ho ritrovato seduto, addormentato con la faccia appoggiata sul cuscino del divano, accanto alla mia.

I piedi non mi reggono e mi accascio a terra, in mezzo al marciapiede, con le gambe incrociate. Mi stringo la testa fra le mani.

GabbianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora