Dove cazzo sei?

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Cammino fino al punto in cui non arriva la luce dei lampioni. E' freddo. Gli aghi dei pini si sbriciolano sotto le suole. Mi siedo con la schiena appoggiata alla corteccia spaccata di un albero. Avverto tutta l'umidità che sale.

Mi sento stonato, sempre fuori asse, scollegato dagli altri. Ma soprattutto, sì, davvero triste. Una tristezza nera e umida. Come questa pineta di notte.

Non so quanto tempo servirà per uscire da questa scomodità d'animo.

Me ne sto qui con i pensieri che mi girano in testa, ma non riesco ad afferrarne nemmeno uno per venirne a capo.

Vengo distratto da alcuni passi sul sentiero. Resto immobile, nascosto dal tronco per non farmi vedere, sperando che chiunque sia, sparisca. Sento che si ferma. Mi giro e noto la luminescenza lattiginosa in un cellulare. Mi arriva un messaggio. Per fortuna non ho la suoneria attiva.

Aspetto che la figura si muova e che mi superi prima di leggerlo, per non farmi vedere, poi apro il messaggio. E' di Filippo.

"Ma dove cazzo sei?"

Deve aver assistito attentamente alla scena di prima, altrimenti non sarebbe mai venuto a cercarmi.

Un po' mi tocca e forse mi intenerisce, non lo so. Mi chiedo se Filippo sia l'unico che possa capire fino in fondo il mio tipo di tristezza e di solitudine: questo continuo nascondersi, mentire e implodere tutto fino a perdere contatto con se stessi.

Mentre spengo il display, mi arriva un nuovo messaggio, è di Alex stavolta.

"Cri, scusami. Non volevo offenderti in nessun modo. O pretendere niente. Non lo farei mai."

Sospiro, impigliato nel mio umore scuro. Non ho voglia di rispondere nemmeno a lui.

Sento adesso dei passi che si avvicinano e chiudo svelto.

«Cri, sei tu?» mi chiama sottovoce Filippo.

Troppo tardi, mi ha sgamato dalla luce del cellulare. Gli faccio cenno con la mano.

«Cazzo, è da mezzora che ti cerco» esclama esasperato.

Si siede davanti a me, scrutando la mia faccia, ma non dice niente.

Restiamo in silenzio per molti minuti. Ma quando prende atto che starò zitto, mi chiede:

«Ne vuoi parlare?» Il suo classico.

Smuovo con la punta del piede gli aghi dei pini, appoggiando la testa alla corteccia ruvida e guardo verso il mare schiarito dalla luna. Non rispondo.

Filippo non aggiunge altro. Se ne sta lì, rivolto al mare anche lui e sbircia me, di tanto in tanto, per spiare il mio stato d'animo. Sono troppo chiuso in me stesso, in questo momento, per capire il suo.

Ci immergiamo nel silenzio e nell'umidità pazzesca che sale, raccolgo le gambe e mi stringo nel piumino.

«Secondo me, ci ritroveranno domani morti congelati» scherza, rabbrividendo e rannicchiandosi pure lui.

Non so perché Filippo sia qui. Se per consolarmi o se voglia soltanto capire cosa è successo tra me e Alex. Lo guardo cercando di trovare una risposta.

Lascia gli occhi nei miei solo un attimo e poi li riporta davanti a sé.

«Che c'è?» mi chiede.

Continuo a fissarlo e vedo che lo sto mettendo in difficoltà.

Ha un piumino più leggero del mio e credo stia morendo di freddo. E' bianco in viso e il naso arrossato.

Si sfrega le mani e noto che ha un cerotto. Gli capita spesso, di tagliarsi. 

GabbianiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora