Filiditapas (parte uno)

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Lascio un messaggio per mia madre, infilo il piumino e scendo senza aspettare che Filippo mi avvisi. Non ce la faccio a stare chiuso in camera. Mi sembra di impazzire.

Decido di aspettarlo seduto dentro al portone. Sono agitato e preoccupato.

Quando vedo il fanale, sospiro ed esco. Ha un secondo casco infilato nel braccio.

Fili ferma la moto senza spegnere, solleva la visiera e mi guarda. Assume un'espressione dolce e ho voglia di abbracciarlo anche se sono imbestialito con lui. Non so come gestire queste folate di emozioni contrapposte.

Non dico niente, incerto su ogni mia reazione. Lui mi porge il casco, lo infilo e salgo dietro.

Mi aspettavo che fossimo diretti verso il centro o il porto, invece saliamo verso il Monte e ci fermiamo, dopo circa mezzora, vicino al deposito dell'area militare. Questa porzione non è molto illuminata e nella zona ci sono pure i cinghiali.

Siamo nel piazzale di un magazzino dismesso. L'unica luce che arriva è quella dei lampioni sulla strada a venti metri e dell'ultimo quarto di luna.

Scorgo le vetrate alte nella parte superiore della facciata. Il portone enorme è di legno pesante ed è chiuso da una grossa catena. Forse è ancora in uso, non lo so. Ci sono alte sterpaglie ovunque. Non capisco cosa ci facciamo qui.

Lasciamo i caschi sulla moto. Ma mi sento insicuro. E' pure un freddo bestia.

«Fili, sicuro che non rischiamo di farci assalire dai cinghiali?»

«Sì, ci sono dissuasori ovunque qui intorno, stai tranquillo. Non passano da questa parte» mi dice prendendomi per mano e tirandomi a sé, mi dà un bacio sulla guancia.

Averlo di nuovo vicino e sentirlo così affettuoso, mi fa sciogliere all'istante. Lo trattengo per la nuca e appoggio la mia bocca sulla sua perché ho la smania di baciarlo. Lui è sorpreso, ma non esita neppure un attimo, mi prende la testa fra le mani in modo tenero, e mi struggo al contatto con le sue labbra carnose e con la sua lingua. Dio, se ci sto sotto. Avverto un sapore di alcol e...

«Ma hai fumato?»

Lui mi stacca, prendendomi per le spalle e mi guarda in modo truce. Mi attira di nuovo, bruscamente, mi annusa il collo, mi allontana.

Batte il piede per terra, stizzito. Fa un mezzo giro su se stesso.

«Cazzo, lo sapevo. Ecco perché era sceso dalla macchina.»

Sono sconcertato, ma non arrabbiato. Non ce la faccio, in questo momento. Ho il cuore in guerra con fucili di burro, perché sono spaventato da tutto quello che devo sapere.

«Quindi il problema è Alex? Non vogliamo parlare di quello che è successo al pub, tra te e Leo? Me lo spieghi? Mi spieghi cosa sta succedendo, Fili?»

Ma lui non molla.

«Cosa avete fatto?» mi domanda invece, stringendo forte gli occhi, come non gli avessi chiesto niente. «Perché hai il suo profumo addosso?»

«Non ci posso credere. Ma ci stai serio? Perché con chi sto io deve essere più importante di con chi stai tu

Ha gli occhi lucidi.

«Perché non mi rispondi?» continua. «Davvero pensavi che in un giorno, io avrei risolto un anno di relazione con Leo? Le cose sono complicate. E' vero che non stavamo ufficialmente insieme, ma comunque... ci frequentavamo, ok?»

Deve rimarcarlo per forza?

«Mi sono accorto, sì, di come vi guardavate. E pure di come lo hai allontanato quando mi hai visto, entrando. Che è stata la cosa peggiore di tutte» la voce mi trema. «Anche tra me e Alex non si è risolto con la semplicità che pensi.»

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