Capitolo LIII

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Guardo i miei fratelli, i miei genitori e gli Anderson, facendo mente locale se ho dimenticato qualcosa.
Ho preso i costumi, i trucchi, il cellulare e il caricabatterie, la crema solare, quindi credo proprio di aver preso tutto. Forse mi manca solo la voglia di vivere.

I miei genitori sono a telefono con la compagnia dei taxi, chiedendone uno grande dato che siamo in otto, per andare all'aeroporto. Mia madre gesticola e mio padre le tiene il cellulare, che è in viva-voce. La scena è abbastanza esilarante.

O almeno, finché una voce che conosco fin troppo bene, ma che non voglio sentire per un po', mi chiama. «Morgan.»

Non mi giro solo io, ma anche i gemelli e Kyle guardano male Omar, che scende tranquillamente dalla macchina. Mannaggia a me e alla mia stupida idea, giovedì, di dirgli a che ora partivo.

Incrocio le braccia al petto e mi schiarisco la voce. «Omar, che ci fai qui?»

Gli occhi del mio ex ragazzo si soffermano sui gemelli e poi su Kyle. Ci vogliono due minuti abbondanti perché mi torni a guardare e mi parli. «Ti devo delle scuse. Possiamo parlarne un attimo? In... privato?»

I miei genitori hanno già chiuso a chiave la casa e non mi va di chiedere di riaprirla. Annuisco e lo conduco nel cortile al lato di casa nostra.

Fino a qualche anno fa c'erano due canestri da basket, che usavano sempre i gemelli e Kyle. Poi i miei fratelli sono andati via, l'inverno ha rovinato i canestri e mia madre li ha buttati. Al loro posto, però, mamma ha messo tantissimi fiori che adesso sono coperti dalla neve.

«Mi dispiace.» Omar mi guarda negli occhi e per un attimo la rabbia e il dolore vanno via. «Ho rovinato tutto, non è vero?»

Faccio segno di sì, senza neanche rendermene conto. Il ragazzo di fronte a me sospira. «Venerdì volevo portarti a quel ristorante bellissimo, sul palazzo più alto di Ottawa. Quello panoramico che ti piace tanto.»

Lo guardo come per dire "e cosa ti ha fatto cambiare idea?" Quello è uno dei miei ristoranti preferiti e lui lo sa. È lì che abbiamo passato il nostro anniversario. «Ma ho pensato che, se le cose non avessero funzionato, volevo lasciare un bel ricordo a quel posto.»

Sbatto le palpebre, assimilando le sue parole. «E per questo mi hai portato in un ospizio per anziani?»

Omar si morde il labbro, forse chiedendosi che problemi ha. Me lo chiedo anche io. «Sono un cretino, okay?»

Faccio un passo verso di lui. «Sì, sei un cretino.» Sento la rabbia che ho depresso in questi giorni aumentare ogni secondo di più e non mi trattengo dallo scoppiare.

«Sei un cretino perché sei geloso, perché sai che amo te e solo te. Sei un cretino perché ti stai arrendendo. Sei un cretino perché il nostro appuntamento è stato un disastro per colpa tua. Sei un cretino perché hai passato tutta la serata con un'altra ragazza, mentre io ero lì, a guardarti come un baccalà. E sei un cretino, perché mi hai lasciato da sola ieri sera e io sono una cretina, perché ho passato tutto il tempo a ubriacarmi e a desiderare che tu fossi lì con me.»

A questo punto sto piangendo. Grazie a Dio non ho messo il trucco, perché ci aspettano più di ventiquattro ore di viaggio e non ho voglia di assomigliare ad un panda.

Omar chiude per un momento gli occhi, poi sospira e dice qualcosa che mi fa scappare un singhiozzo. «Ieri sera ho... ho passato la serata con quella ragazza. So che non miglioro di certo le cose, ma ti amo e credo che dovevo essere sincero con te.»

«Non voglio più vederti, Omar.» Riesco a sussurrare, con voce spezzata.

Non voglio un ragazzo che mi vede parlare con Kyle e che decide di non portarmi, praticamente, ad un appuntamento, perché è geloso. Non lo voglio qualcuno che mi dice di non venire al ballo il giorno stesso. Un ragazzo che passa la serata, invece che con me come avevamo detto, con una ragazza conosciuta il giorno prima.

Lui sussulta, ma con mia grande sorpresa poi annuisce. Forse, però, non ha ben capito che voglio iniziare a non vederlo da ora, perché rimane dov'è. «So che ti sto facendo soffrire, che ti ho fatto soffrire, e non mi perdonerò per questo. Ma Morgan, siamo cresciuti insieme quasi come tu e Kyle e non voglio perderti. Sei sempre stata la mia migliore amica e poi la mia ragazza. Ti amo e se non vuoi ritornare con me lo capisco, ma non voglio perderti del tutto.»

Non riesco a rispondergli. La gola mi brucia e sono troppo occupata a piangere. In un certo senso, non sto perdendo solo il ragazzo che amo. Ma come sta dicendo lui, anche il mio migliore amico, il bambino che conosco da quando ho dodici anni. E fa maledettamente male.

Omar resta fermo, immobile, e non cerca di consolarmi o toccarmi mentre piango e lo preferisco. Ma sospiro lo stesso sollevata quando due braccia mi stringono a sé e senza accorgermene mi stringo al suo petto, affondando la testa nel suo collo.

È la prima volta che abbraccio, e addirittura mi faccio consolare, da Kyle. «Vattene, Sullivan. Hai già fatto abbastanza.» Gli sento dire.

Non voglio guardare Omar, né vederlo allontanare, così chiudo gli occhi e mi concentro su Anderson che mi accarezza i capelli e a quando sia confortante la sensazione di stare tra le sue braccia.

Sento il clacson di una macchina, così apro gli occhi e vedo che i miei genitori stanno caricando tutte le valigie sul taxi, che è grande abbastanza da farci sedere tutti e otto.

«Dovremmo andare.» Mi separo da lui e mi asciugo le lacrime con le maniche della felpa. Sto piangendo troppo, in questi giorni.

Sto facendo il primo passo, quando Mr. Arroganza mi prende per un polso. Mi giro a guardarlo. «Non pensarci, okay? È lui il coglione. Tu non hai fatto nulla di sbagliato, Hill.»

Accenno un sorriso. «Ho trovato una persona che mi fa più male di te.»

Kyle, però, non ricambia il sorriso. Fa anche lui un passo, fino a trovarsi vicino a me. Mi lascia un bacio sulla fronte e mi stringe nuovamente a sé.

Se vi è piaciuto il capitolo vi chiedo gentilmente di lasciare una 🌟, mi farebbe davvero piacere. Grazie a tutti per aver letto/ votato/ commentato questa storia, vi amo tanto ❤️

Mr. ArroganzaWhere stories live. Discover now