Capitolo LVII

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La vendetta è un piatto che va servito freddo.

Per questo decido di andarci piano con la vendetta di Kyle. Ha passato tutto il pomeriggio a parlare con una delle tre ragazze -le altre due poverette hanno parlato con i gemelli- e ogni tanto mi lanciava delle occhiate di sfida.

Io ho chiamato Savannah per perdere un po' di tempo e ho fatto un video per i miei amici, che hanno amato il posto. L'ho mandato sul gruppo, dove c'è anche Omar. Lui l'ha visto ma non ha risposto.

«Tesoro, va tutto bene?» Mia madre poggia una mano sulla mia e sforza un sorriso.

Annuisco. «Sono solo un po' stanca.» Tra Kyle che mi fa i dispetti, la consapevolezza di aver perso Omar anche come amico e Luis che evita me e Nate la mia testa sta esplodendo.

«Se vuoi andare a dormire prima vai pure, Morgan.» Micheal prende un sorso di vino. «Abbiamo praticamente finito di cenare.»

Annuisco e mi pulisco con il tovagliolo la bocca un'ultima volta, prima di alzarmi e salutare tutti.

Il ristorante dove siamo andati è del resort in cui stiamo. È all'aperto e sul mare, infatti non indossiamo le scarpe perché si riempirebbero di sabbia. È coperto solo da un tetto di legno, ma si lati è scoperto e dal soffitto cadono tanti aggrovigli di luci colorate. Un luogo abbastanza romantico, se non fossi con la mia famiglia e con il mio nemico.

A malincuore me ne vado. Sono troppo triste per godere a pieno di questo meraviglioso posto, quindi mi riprometto che da domani starò meglio. Non mi rovinerò questa vacanza per colpa loro.

Mi stringo al cardigan che mi sono portata prima. Ho a malapena toccato cibo, perché il mio stomaco è chiuso e nonostante ci siano trenta gradi sto morendo di freddo.

Incrocio le braccia al petto e mi inoltro per le stradine del resort, verso la mia camera.
È rilassante però camminare e sentire le onde del mare, come se quel rumore cullasse ogni tuo pensiero. E anche le stelle che illuminano la strada, la luce fioca che rende tutto più calmo e sereno.

Se c'è un posto dove posso lasciare per un po' il dolore, è questo.

«Morgan!» Sento una voce chiamarmi, ma probabilmente è solo frutto della mia immaginazione. Come se Kyle se ne fregasse qualcosa.

Aumento il passo fino a marciare e correre quasi. Le lacrime mi offuscano la vista, ma non sto ancora piangendo. Devo arrivare in camera, poi potrò lasciarmi andare.

Mi ricordo che quando ero piccola non piangevo mai se non in camera mia. Mi portavo la coperta fino a sopra la testa e mi lasciavo andare. I gemelli entravano dopo una mezz'ora e mi portavano la cioccolata calda e il loro computer. Mi stringevano a sé e ci vedevamo insieme i nostri film preferiti.

Pagherei per ritornare bambina, in questo momento. La bambina di dieci anni ingenua che credeva che essere forti significa non piangere davanti agli altri. Eppure è una cazzata. Essere forti non significa questo.

«Morgan, hey, aspetta!» Kyle mi raggiunge in un batter d'occhio e mi prende per un polso per farmi rallentare. Adesso non credo più di sentire la sua voce. È qui. Ma perché mi ha rincorso?

«Va tutto bene? Aspetta, stai per piangere?» Come se gli importasse sul serio. Vuole solo sentirsi importante, per poi far stare male le persone. Questa mattina ne è la dimostrazione: mi ha fatto credere di essere geloso dei ragazzi che frequento, si è fatto dire che io sono gelosa delle ragazze che frequenta e poi mi ha lasciato lì come una cretina mentre lui flirtava con una appena conosciuta. Ironico come la situazione sia simile a quella di Omar.

«Lasciami stare, Kyle.» Strattono il braccio e mi libero dalla sua stretta, però cammino alla sua stessa velocità. Conoscendolo si metterebbe a gridare il mio nome o a rincorrermi e non mi va.

«Stai male per Omar? Anche quando siamo arrivati eri triste. È per... è per questo?» La sua voce trema nell'ultima frase. Come se stesse male per me. Che bugiardo, solo per quella conversazione con Tian. E poi ti divertirai, avevano detto. Lei non sarà più un problema. È solo una spina nel fianco.

«Non gira tutto intorno a Omar, Kyle!» Sbotto, girandomi furiosa verso di lui. «Non te ne importa sul serio quindi lasciami stare!»

«Morgan, mi-» Lo interrompo bruscamente. Mi sono abituata alla mancanza di Omar l'anno scorso, quando se ne è andato. E anche se questa volta l'ha scelto lui, lui mi ha lasciato di sua spontanea libertà, non è la prima volta che affronto questo dolore. Ma non sono abituata a Kyle, non a questo tipo di tira e molla per lo meno. Né a Luis che mi evita.

Una lacrima solitaria scivola sulla mia guancia e l'asciugo in fretta. Così in fretta che non ha neanche il tempo di accorgersi che sto piangendo.

La bambina di dieci anni che è in me mi grida di resistere. Altri due minuti, solo due.
Il dolore è più difficile da nascondere, al contrario della felicità. Quando siamo felici riusciamo anche a non sorridere, a nascondere la gioia che abbiamo nel petto. Ma quando siamo addolorati, non riusciamo a fare un sorriso vero. È sempre forzato e la risata più breve del solito.

In centoventi secondi devo ingoiare il groppo che ho in gola e non devo far tremare la voce. Più facile a dirsi, che a farsi.

«Non provare a dire che ti dispiace, Kyle.» Arrivo davanti alla mia camera e apro la porta. Mi sento soffocare per i dolori e mi sento libera perché posso finalmente piangere; la mia voce si spezza. «Non provarci.»

Poi entro e chiudo la porta, accasciandomi contro di essa e scoppiando a piangere. Però Kyle non entra nella sua stanza. Vedo la sua ombra sedersi su una delle sedie del nostro giardino e rimane lì per tanto tempo, ascoltandomi singhiozzare.

Se vi è piaciuto il capitolo vi chiedo gentilmente di lasciare una 🌟, mi farebbe davvero piacere. Grazie a tutti per aver letto/ votato/ commentato questa storia, vi amo tanto ❤️

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