4. Così poco di lei, così tanto di suo padre

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Mi stavo tenendo a galla in un mare di merda, e l'unica puzza che sentivo nelle narici era quella del suo locale da quattro soldi.

Il piano B, aveva detto Andrey. Io non pensavo di aver bisogno di un dannato piano B, porco cazzo. Lea Gessi aveva un ruolo, questo sì, doveva essere la fonte dell'informazione, o la fonte della fonte, ma doveva anche essere la parte facile del piano, quella senza intoppi. Il piano B era per dopo, non per Lea Gessi.

Sfogliai per l'ennesima volta il faldone della ragazza, che conteneva così poco di lei, e così tanto di suo padre.

Non gli assomigliava granché. L'agente Gessi era stato un uomo grande e grosso, quasi due metri d'altezza e un quintale abbondante di muscoli: sembrava impossibile che Lea, piccola, minuta, sinuosa fosse il frutto dello stesso mosaico cromosomico.

Della madre non avevamo quasi nulla, solo una foto e un nome: Blue Osmani, nata a Tirana e giunta in Italia chissà come e chissà quando. Morta di overdose quando Lea aveva undici anni, corrosa fino alle ossa dalla sua dipendenza che ne aveva liquefatto anche la bellezza.

Lea assomigliava alla versione ripulita di Blue, non a suo padre. Sempre che fosse il padre.

Abbandonai le scartoffie sulla scrivania e mi versai un Macallan invecchiato di 35 anni. Quella bottiglia aveva la mia stessa età.

Avevo chiesto a quello stronzo del mio migliore amico russo un dossier su Lea prima di partire per quel Paese che odio, e lui me ne aveva rifilato uno che invece parlava quasi solo del padre, morto per mano propria portandosi all'inferno un pezzo importante dei segreti di Wall Street.

E io, che evidentemente ero una testa di cazzo, ne presi atto con un ritardo pericoloso.

Perché sapevamo così poco delle donne dell'agente Gessi?

Poco di Lea. Pochissimo di Blue.

E dei tre, era rimasta solo lei, solo Lea.

Andrey aveva visionato i passaggi di proprietà e i pagamenti per l'acquisto del Sweetydreams, senza trovare ombre nella transazione: Lea sembrava pulita, i pagamenti tracciabili, partiti dal conto della Credit su cui percepiva anche lo stipendio.

Ma quegli stracci costosissimi che indossava dietro al bancone e sul suo cazzo di palco non erano frutto di nessuna delle attività di cui eravamo a conoscenza.

Lea aveva un occhio allenato, riconosceva il lusso e lo distingueva con sconcertante facilità tra le molteplici imitazioni. Un talento che di solito appartiene alle puttane d'alto bordo. Cercai di immaginarmela mentre si faceva scopare da un vecchio maniaco miliardario, uno come mio padre, per poi strisciare fuori dalla stanza d'albergo con le banconote tra le dita. Come aveva fatto mia madre, che aveva lo stesso talento della piccola Gessi nel distinguere il lusso vero da quello abortito dall'industria della moda.

Ma quelle come mia madre, a un certo punto, smettono di emanare luce propria. Non ci mettono molto a ritrovarsi a essere solo il riflesso della luce degli altri, e a dipenderne. La prostituzione, anche quella glitterata e patinata, sciupa le donne.

Lea brillava. Risplendeva. Illuminava anche il suo locale del cazzo con il suo sguardo brioso e le sue labbra sorridenti. La sua bocca da infarto custodiva una lingua biforcuta, velenosa come il morso di un taipan.

E a Londra, prima ancora di salire sull'aereo che avrebbe portato me e Andrey in Italia, studiando le sue performance commerciali, avrei dovuto preoccuparmi anche del suo cervello. Nel dossier non era presente la sua carriera accademica, la data della laurea. Lea Gessi aveva scalato le vette commerciali della sua azienda senza passare per una commissione universitaria.

PRICELESSWhere stories live. Discover now