73 Ci sarò sempre

3K 120 489
                                    

Sapevamo entrambi che fuori, il mondo, proseguiva la sua corsa, che c'era un sacco di gente poco raccomandabile che seguiva gli spostamenti che noi stessi fornivamo loro attraverso un social che contava ormai quasi mezzo milione di followers, sapevamo che Viktor era appostato da qualche parte, ad attendere l'ordine del suo padrone per morderci entrambi alla gola e sapevamo che, da qualche parte, anche Andrey muoveva fili che gli avevo dato in mano io.

Sapevamo tutto e non ci fregava un cazzo, perché ci eravamo smontati e ricostruiti in quelle settimane, e quella sera, in quel letto, io iniziavo a pensare che forse, con Lea, ero a buon punto, forse mi aveva sputato addosso l'ultima goccia di veleno con cui l'aveva nutrita Matteo Gessi.

E sì, quell'ultima sua confessione estorta tra alcol, tranquillanti, vomito, urla e lacrime mi aveva prosciugato, ma forse a quel punto potevo guardare la mia opera completa: una Lea ricostruita, piena d'oro fuso tra le sue crepe, di gemme nei suoi spazi vuoti, raggi di sole che penetravano nelle sue fessure per dare conforto alle sue ombre.

Nessuno di noi due sarebbe tornato come nuovo, eravamo ammaccati, ma con un motore che non tossiva più.

Quella era la notte in cui le avevo succhiato via dalla pelle l'ultima stilla di sangue infetto e me l'ero inghiottita, l'avevo buttata giù d'un fiato, disperatamente intenzionato a farla finita con Matteo Gessi e tutta la sua merda, per non vedere mai più il suo ricordo spegnere i sorrisi della mia bambina, per non vedere mai più la sua impronta sugli orgasmi che le procuravo io.

In attesa che il mio fedele soldato, che di tutte quelle vicende emotive e strazianti non si era mai accorto di nulla e delle quali pareva totalmente incurante, tornasse sull'attenti, mi crogiolavo contro il corpo tiepido di Lea, che non si sottraeva certo all'arroganza del mio abbraccio.

«Mi ami ancora, Trevor Baker, carogna di Wall Street?»

«Più di prima, Lea Gessi, dea dei capricci.»

«Credo che non mi sia rimasto altro di terribile, credo che non esista altro che non voglio assolutamente dirti.»

«Ti confesso che è un sollievo, ma se dovessero saltarne fuori altre, affronteremo anche quelle.»

«Sono rimaste solo le cose meno terribili. Ma non credo di essere la persona giusta per dirtele.»

«Perché non le sai per certo neanche tu.»

«Non gli ho mai chiesto conferme.»

«Gliele chiederò io. A modo mio.»

«Mi ha salvata in modi che tu nemmeno immagini.»

«È l'unico motivo per cui Denis è ancora vivo, Lea.»

Si quietò un po', infilando le dita tra le asole di quella camicia che era stata testimone di un sacco di cose, quella notte. Era stropicciata, ma aveva resistito. Come Lea. Come me.

«Hai paura?» mi chiese.

«L'avrò. Ma non stasera, mia queen. Stasera non ho paura di niente. Tu?»

«Io neanche domani avrò paura. Rimandiamo la paura a quando torneremo in Italia?»

Mi fece sorridere, e mi venne voglia di riempirla di baci. Lo feci. Il soldato si risvegliò, ovviamente.

Lea se ne accorse e ne fu soddisfatta. Ebbe pietà per quella povera camicia, e slacciò con cura ogni singolo bottone. Io ebbi meno pietà e la gettai in un luogo non ben precisato, probabilmente sul pavimento, o forse sul comodino.

Ebbi un attimo d'incertezza nel valutare cosa fare degli slip di Lea, che avevano condiviso le stesse esperienze della mia camicia.

La mia bambina mi guardò costringendo un sorrisino beffardo tra i denti.

PRICELESSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora