17 Non puoi urlare

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Sapevo che la sua era una provocazione, ma sapevo anche che non correvo alcun rischio nel cedervi. Quella notte avrei messo il guinzaglio a quella stronza in un modo che lei non avrebbe colto fin quando non fosse stato troppo tardi.

Avevo condiviso la situazione solo con Andrey, che si era ormai arreso all'idea che in un modo o nell'altro certi meccanismi sarebbero stati lubrificati dalla mia eiaculazione tra le cosce di Lea, ma aveva approvato le intenzioni di base.

Quindi, nel vedere sul monitor collegato alle microcamere che sì, Lea aveva messo un bikini esageratamente striminzito in valigia, che sì, era puntuale e che sì, stava indossando l'Armani ma che no, non aveva lasciato i capelli sciolti, presi il cellulare e le inviai la mia missiva sotto lo sguardo di un Andrey che non approvava affatto.

«Le dai troppa corda. Penserà di essere importante, per te.»

Terminai di inviare, prima di rispondere al mio socio.

«Lei è importante, e non solo per me. Può pensare quello che vuole, Andrey. Se non mi sbaglio sul suo conto, e io raramente sbaglio, le sue convinzioni possono solo tornarci utili.»

Grugnì, forse soffocando una mezza risata.

«Raramente sbagli, ma quando sbagli la fai grossa. Siamo nella merda per un tuo errore.»

Era vero. Ma...

«Si beh, sto rimediando.»

«E intanto te la scopi.»

Magari.

Lea rispose al mio messaggio. Era una cazzo di bambina capricciosa, e il mio moto di stizza nel leggere il suo "no" sul display non sfuggì ad Andrey.

«Cosa diavolo vi state dicendo?»

Gli allungai il cellulare: non avevo voglia di dirlo ad alta voce.

Il russo, seduto al volante del Q8 sotto casa di Lea, aggrottò le sopracciglia: erano solo poche righe di scambio:

I capelli, Lea.

Ci siamo detti che

li devi tenere sciolti.

No, col cazzo.


Andrey mi restituì il cellulare.

«È solo un capriccio, Trevor. Lo fa apposta e lo sai. Non ha alcuna arma con cui minacciarti, a parte la sua invitante vagina, quindi la sta usando.»

Mi passai la lingua sulle labbra. Andrey mi osservava quasi divertito.

«Tu vuoi salire da lei, vero?»

«Sì.»

Scosse la testa, molto meno risentito di quanto mi aspettassi. Da quando gli avevo svelato il nuovo piano, si era tranquillizzato. Il che tranquillizzò anche me, perché evidentemente eravamo in due a vederne il potenziale.

«E allora vai, coglione, e fai che ne valga la pena.»

Non me lo feci ripetere due volte, saltando giù dal Q8 al confine tra l'incazzato e l'eccitato.

Aperto il portone, optai per le scale: quei sei piani avrebbero fatto fluire verso gli arti e il cervello un po' del sangue che si era vistosamente concentrato nell'uccello.

Aprii la porta di Lea e trovai un insolente chiavistello da due soldi a ritardare il mio ingresso.

«Non sono ancora le cinque, stronzo! Torna più tardi!»

PRICELESSWhere stories live. Discover now