85 Ma tu non ci sei (parte 1)

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Quanti sinonimi e superlativi possono esistere per la parola "bella"?

Sono abbastanza certo di averli già usati tutti più di una volta per raccontarvi Lea. Sono noioso, immagino. Quindi come ve lo dico il modo in cui mi faceva sentire il guardarla accoccolata nel divano, sotto un plaid che aveva probabilmente assistito alla caduta del muro di Berlino e con indosso una tuta che poteva essere stata testimone dell'arrivo della moneta unica europea?

Il fatto è che di morfina, in quell'appartamento, non ce n'era. E quello non era nemmeno il problema vero.

Il problema vero era che Lea, la morfina, non l'avrebbe comunque assunta.

Quando l'avevo tirata fuori dalla vasca era stata collaborativa, si era fatta coccolare dentro un accappatoio che aveva il colore della tristezza ma la morbidezza dei baci della buonanotte.

Si era fatta anche asciugare i capelli, seduta composta, forse perché avevo passato più tempo a baciarle le tempie che ad agitare il phon nella direzione corretta, ma fa niente.

Poi aveva fatto anche la parte dell'infermiera arrogante, insistendo per aiutarmi a darmi una ripulita, e quando si era accorta che mi si erano riaperti i punti sul fianco e sulla schiena non mi aveva mica risparmiato la ramanzina per "i troppi inutili sforzi".

Poi però anche io mi ero lasciato coccolare da lei. Avevo accolto le sue carezze sulle spalle, i suoi baci sul petto, le sue dita che mi passavano tra i capelli mentre mi spogliava, mi aiutava a lavarmi via di dosso la morte e mi rifilava i vestiti puliti che, non c'era neanche bisogno di chiederlo, erano senza dubbio appartenuti a Denis.

Quel rifugio, in origine, era per loro due. Io ero un errore, un imprevisto.

Quante cose erano andate a rotoli alla mia bambina.

A me, invece, era andata bene, perché da tutta quella faccenda avevo guadagnato lei e non avrei perso nulla, perché quello che non avrei più avuto se ce l'avessimo fatta, non era altro che roba tossica di cui liberarmi per guarire dal male di vivere.

Quando mi fui infilato la t shirt da nerd e i jeans del suo migliore amico vidi nell'espressione di Lea il vero problema: quell'ustione di secondo grado le faceva un male cane, e quel dolore le era di conforto, di consolazione. Quel dolore lì l'aiutava a tenere lontano l'abisso di angoscia che le procurava la perdita della sua metà di cuore, quella con gli occhi azzurri che le aveva mentito per anni.

Lea la morfina non l'avrebbe presa, perché di quell'ustione aveva bisogno, doveva sentirla forte e chiara, per evitare di stare molto peggio.

Chiaramente non era sano, né giusto, ma avevamo poco tempo persino per quello, persino per lottare contro una cazzo di ustione, porca puttana.

Quindi morfina no, ma Xanax sì. Glielo sciolsi in un bicchiere d'acqua, e io ho il sospetto che lei lo sapesse, ma che lo avesse bevuto lo stesso, perché quello era uno stordimento che avrebbe annientato entrambi i dolori: molto più di un compromesso, quasi un affare.

Biascicò qualcosa sull'andare nel lettone, ma la feci sdraiare sul divano fingendo di non sentire quella proposta oscena. Io non ero certo di sapere cosa fosse accaduto nella stanza matrimoniale a Blue Osmani, ma di certo su quel materasso non avrei fatto adagiare il corpicino adorabile della mia cosina.

E quindi mi sedetti sul tavolino a guardarla cedere all'oblio, nonostante un certo timore sul visino.

«Non esco» la rassicurai. «Non accadrà mai più che tu chiuda gli occhi accanto a me e li riapri senza di me, ok? Sarò qui.»

Si arrese abbastanza in fretta, e a me non rimase da far altro che rimanere ad ammirarla come un povero deficiente innamorato perso, preoccupato e incazzato.

PRICELESSМесто, где живут истории. Откройте их для себя