9. Tienila d'occhio

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Quello di cui avevo bisogno quella sera me l'ero procurato nel pomeriggio nell'unica boutique della città che mi avvertiva con una notifica ogni volta che giungevano i nuovi arrivi delle mie griffe preferite.

Ely, la commessa, mi aveva mandato le foto prima dell'apertura pomeridiana, quando avevo già smesso di piangere e iniziato la mia opera di ricomposizione emotiva. Opera che conobbe il suo compimento definitivo della giornata quando la mia carta di credito si alleggerì dei 1650 euro che mi costò quell'Armani privé che mi fece tremare le ginocchia come nemmeno gli occhi gelidi di Trevor fottuto Baker (ndr. Sì, è una semi-cit).

Era un abito senza fronzoli: lo scollo all'americana metteva in risalto le mie spalle toniche, le sue aderenze esaltavano i miei fianchi proporzionati al seno, e la fascia di strass nera in vita mi faceva sentire preziosa, nonostante tutto. La gonna si apriva come una rosa con decine di petali di seta sovrapposti. Una piccola opera d'arte.

Il nero era un colore che indossavo raramente: mamma diceva che era il colore del lutto, e di lei ricordavo così poco che quel poco valeva per me più dell'intero contenuto della mia cabina armadio.

Ma quella sera ero in total black.

Solo per stasera, mami.

Avrei preferito tenere sciolti i capelli ramati, ma li raccolsi in un morbido chignon sulla nuca, lasciando solo due ciocche a circondarmi l'ovale del viso, con l'unico scopo di indispettire Trevor.

Andrey fu uno dei primi clienti a mettere piede al Sweetydreams, ma si fece servire da una delle mie ragazze. Sentivo comunque i suoi occhi addosso, e li sentii per parecchio tempo. Finché un altro sguardo si fece largo nella periferia delle mie percezioni. Ci mise parecchio a convincersi ad avvicinarsi, ma quando lo fece ne fui contenta.

« Un Cosmopolitan, per favore. »

Gli sorrisi. Forse era un po' troppo giovane per i miei gusti: aveva un viso liscio, quasi perfetto, privo di impronte che dimostrassero il passaggio di una qualche preoccupazione nella sua esistenza. Vedevo il desiderio dilatargli le pupille, ma il suo era uno sguardo fiducioso, genuino, innocuo.

Sembrava un ragazzo così... pulito. Banale, forse. Ma era stato benedetto da una bellezza innegabile, occhi chiari che sembravano fanali all'ombra di ciglia lunghe e scure. I capelli erano ribelli, di un castano scuro che virava a un timido biondo solo sulle punte delle morbide onde ben addomesticate da un taglio opera di un barbiere che sapeva fare bene il suo lavoro. Quindi decisi che sì, quel ragazzo si intonava bene al mio vestito e al mio bisogno di sentirmi di nuovo padrona di me stessa. Me lo sarei preso quella notte.

« Posso preparartelo, ma ti devo confessare che sono decisamente la meno dotata tra tutte le barman del locale... »

Sorrise anche lui, mostrando una dentatura troppo bianca e troppo dritta per essere naturale.

« Non importa, non farò reclamo, promesso. »

Versai ghiaccio, vodka e Cointreau nello shaker, ma lui mi sfiorò la mano quando appoggiai la bottiglia di liquore per prendere il lime.

« Lo accetti un consiglio? »

Il suo tocco non era abbastanza caldo. La sua voce era esageratamente accomodante. Mi stavo innervosendo. Non con lui, lui non aveva colpe: ero io quella che aveva fatto deragliare il treno dei desideri carnali sulla corsia della perversione. Mi morsi la guancia, in cerca di un dolore che forse mi avrebbe restituito un po' di lucidità. Mi restituì solo il ricordo di Trevor che mi leccava via il sangue dal mento.

«Certo, ma ti prego: non consigliarmi di cercarmi un altro lavoro perché al momento questo è l'unico posto in cui mi è consentito esibirmi nonostante la mia manifesta incapacità dietro un bancone.»

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