26 Non puoi toccarla

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**** QUESTO CAPITOLO CONTIENE SCENE DI VIOLENZA E ABUSI. SE SIETE SENSIBILI BLA BLA BLA...****

Le regole sono importanti, non facevo che ripeterlo a Lea. E lei non faceva che ignorarle.

Forse avrei dovuto essere più specifico: è importante conoscere le regole, per ignorarle. Ecco, se le avessi detto questo, magari mi avrebbe ascoltato.

Ma non fu a causa sua, che ci trovammo in quella scomoda situazione. Era colpa mia, ma sapevo che sarebbe potuto accadere. Anzi, sapevo che sarebbe accaduto. Quello che non sapevo, era che avrei trascinato Lea con me.

E quindi io ero legato a una sedia, con la camicia da cinquecento sterline macchiata del mio sangue, e questo lo avevo messo in conto. Lei invece l'avevano abbandonata sul pavimento come una sigaretta fumata solo a metà, e questo no, non lo avevo messo in conto.

E mi ritrovai a essere sollevato del fatto che lei fosse incosciente, che non avesse sentito le mani di quelle bestie indagare sulla consistenza delle sue curve, che non avesse sentito i loro commenti immondi mentre simulavano a un soffio dal suo corpo un po' delle attività che io avevo avuto il piacere di praticare davvero con lei. Era stata il loro giocattolo per un po', l'avevano annusata e assaggiata, ed era stato stupido, da parte di Viktor, permettere che le aspettative dei suoi uomini raggiungessero livelli così alti di libido: Lea era roba mia e non ero disposto a condividerla con nessuno, men che meno con quelle belve sudicie. E quella era una regola che nessuno doveva ignorare.

Ma anche ignorare Lea era impossibile. In quel letamaio umido era tutto grigio e nero, persino il mio sangue, ma non i capelli di Lea. No. Il rosso dei suoi capelli sopravviveva all'assenza di luce e di colore. La sua coda spettinata sembrava un neon in mezzo a quelle quattro mura di pietra.

«Come va il naso, Baker?»

Distolsi lo sguardo dalla mia cosina dai capelli rossi per posarlo su Viktor. Un panorama decisamente meno piacevole.

«Anche da rotto è meglio del tuo, zasranets»

Sulla sua faccia comparve un sorriso che pareva abortito dall'inferno, ma fortunatamente ero abituato a quelli truci di Andrey, che avrebbero fatto pisciare sotto anche una legione di demoni.

«Non è rotto ma, se anche fosse, paparino te lo farebbe ricostruire nuovo e tempestato di diamanti, dico bene?»

Mio padre me lo aveva rotto in più di un'occasione, il naso, e non si era mai preoccupato di come lo avessi rimesso in sesto.

«Non essere invidioso, Viktor. Posso chiedergli di ricostruirti una faccia decente, ma i suoi miliardi potrebbero non bastare vista la complessità dell'impresa.»

Sapevo quanto facessero male i ganci di Viktor: sembrava avesse ossa di adamantio e pelle di granito. Ne avevo avuto qualche assaggio anni prima, ma il ricordo era abbastanza vivido da avvertire lo stomaco serrarsi nel vederlo arrotolarsi le maniche della camicia da quattro soldi sopra il gomito. Mi si avvicinò, chinandosi fino ad avere la faccia alla stessa altezza della mia.

«I miliardi di tuo padre potrebbero non bastare a ricucirti nel giusto ordine le parti del corpo che posso asportarti senza ucciderti, Baker. Poi la tua shlyukha dai capelli rossi te la puoi scopare solo col pensiero.»

Non risposi, incassando la sua minaccia priva di fondamento pur di evitare un doloroso scontro tra qualunque osso del mio teschio e le sue nocche mortali. A volte bisogna saper perdere.

Acquisì la sua vittoria con una smorfia, tornando ad alzarsi.

«Hai pestato i piedi al mio capo, Baker. Devi pagare.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now