35 Fragola, cioccolato e una goccia di veleno: mortale tentazione

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Il giorno seguente fu quello in cui Lea mi rifilò una sberla che ricorderò per sempre, dato che lo stronzo ero stato io, ma quella che chiese scusa fu lei.

La stavo portando al poligono di tiro, perché la volevo in grado di difendersi almeno con un'arma in mano, dato che non era ancora nelle condizioni di farsi addestrare da Andrey allo scontro fisico.

Avevo fatto parcheggiare la Tesla a qualche centinaio di metri dal poligono, perché avevamo entrambi voglia di goderci quell'ultimo sprazzo d'estate morente.

Ancora una volta si era vestita in modo discutibile, forse incerta sul come affrontare una stagione che stava sfumando, rilasciando nell'aria solo incertezze.

«Una felpa di pile e un paio di pantaloncini che fanno di tutto per sembrare delle mutande. Tu sei strana forte, ragazzina.»

Fece spallucce. «Indosso due stagioni contemporaneamente.»

Mi fermai d'improvviso, perché improvviso fu il bisogno di confessarle il mio nuovo tormento. «Ti ho mentito.»

E si fermò anche lei, e ci trovammo l'uno di fronte all'altra. Mi resi conto per la prima volta che il verde smeraldo che aveva scelto per i complementi d'arredo del Sweety era simile a quello dei suoi occhi. «Ho mentito su una cosa che vorrei non fosse una bugia. Vorrei fosse la verità, ma non lo è ed è per questo che ti sto portando in un posto in cui si impara a uccidere.»

«Sentiamo.»

«No è vero che posso proteggerti da tutti, bambina. Dovrò tornare a Londra, Lea, e da lì mi sarà difficile farlo.»

Mi fece un sorriso che aveva le sembianze di una lacrima. «Non mi serve la tua protezione. Sono cresciuta senza, anche dopo la morte di mio padre.»

«Lui è la causa di tutti i tuoi guai. Doveva morire molto prima. Oppure evitare di fare del mondo un posto peggiore con la sua esistenza.»

«Non parlare così dell'uomo che mi ha insegnato ad andare in bicicletta...»

«Ti ha insegnato anche a fare i pompini.»

Ecco. Avrei potuto bloccare la sua mano che si schiantava furente sulla mia faccia. Avevo parato colpi ben più rapidi, ben più potenti. Ma non avevo motivo di schivare quello schiaffo, e ne avrei meritati molti di più. E poi, dalla sua bocca uscì una parola che mi pugnalò al cuore.

«Scusami.» Abbassò lo sguardo.

L'abbracciai stretta, lì in mezzo al marciapiedi, un lunedì mattina qualsiasi, desiderando di non aver detto quella frase schifosa, di non aver causato la sua reazione legittima e di non aver dovuto vedere la vergogna farle chinare la testa per un gesto che avevo meritato. In realtà avrei dovuto desiderare di non aver mai scelto di inseguire El Diablo, di non aver mai contaminato la sua esistenza come un morbo. Ma ero troppo egoista per volermi privare di tutta quella meraviglia.


***

«Hai capito come si inserisce la sicura?»

Mi guardava con una luce divertita negli occhi. Qualunque cosa le avesse lasciato dentro il triste scambio che ci aveva visti protagonisti all'esterno, sembrava essere stato archiviato lontano, accanto ai ricordi dimenticati. «Sì, ho capito.»

«È importante, la devi inserire ogni volta che la metti via.»

«Ho capito.»

Aprii il caricatore, e glielo mostrai. «Questa è un'arma sportiva, e non può contenere più di venti colpi. Quelle che ti lascerò prima di partire per Londra ne conterranno di più.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now