37 Due affamati nello stesso letto

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*** Vi ricordate dove eravamo arrivati? Stavolta è facile, eravamo qui:

 "Togliti i vestiti." E da qui ripartiamo. ***


La fame era una condizione che conoscevo bene. Il panico non ti assale subito, perché all'inizio è più un desiderio che un bisogno. Ti trema lo stomaco, richiama la tua attenzione, ma puoi zittirlo, distrarti, pensare ad altro. Le prime ventiquattro ore in compagnia della fame sono accettabili. Passate quelle, arriva un mal di testa che annebbia le percezioni, e concentrarsi è impossibile, quindi il bisogno diventa necessità e non puoi fare altro che accoglierlo, inerme, stanco e avvilito. L'idratazione va gestita, perché se bevi troppo, o troppo in fretta, arriva il vomito, e quello può trasformare la tua condizione difficile in una condizione critica, aggiungendo alla mancanza di nutrimento anche la disidratazione.

Dopo le quarantotto ore di digiuno, se hai gestito bene l'acqua a tua disposizione, ti sembra di stare quasi meglio, a volte. Il tuo organismo si è abituato, il tuo fegato sta bruciando una parte sostanziosa delle proprie proteine. La morte è ancora lontana, ma se hai meno di dieci anni potrebbero esserci effetti devastanti sul tuo corpo: è importante intervenire prima che i danni diventino irreversibili. Sebastian interveniva in tempo, sempre, perché tutti i suoi miliardi non sarebbero bastati a seppellirmi senza alzare intorno al mio cadavere di bambino uno scandalo, o quantomeno un polverone mediatico. E quindi mi accoglieva di nuovo al suo tavolo, con una bacchetta in mano. Potevo mangiare, ma alle sue condizioni. Dovevo masticare i bocconi dieci volte, prima di inghiottire, e contare fino a cinque prima di infilzare con la forchetta quello successivo. Un sorso d'acqua ogni due bocconi, ma potevo bere anche se tossivo o qualcosa mi andava di traverso. Quando lui diceva che avevo mangiato abbastanza, dovevo smettere.

«Non sei un animale, Trevor» mi diceva, pronto a frustarmi le mani con la bacchetta se mangiavo troppo in fretta, se esternavo la fame. Non ero un animale, eppure.

La mia carriera da criminale era iniziata alle scuole secondarie, quando iniziai a fare i primi soldi facendo entrare hashish e marijuana nei facoltosi corridoi del mio istituto privato. All'inizio ero solo un corriere, ma fu una scalata che mi venne naturale. Non ebbi mai più fame, papà se ne accorse, e non poté farci molto. Mi guardò crescere, nel corpo e nel crimine. Ma la fame imparai a riconoscerla, in tutte le sue forme, e ne ha molte. Tutte pericolose, tutte potenzialmente letali, tutte radici di dipendenze che ti divorano dentro, ti strappano via parti importanti di te.

Scusa. Mi ero persa per un attimo.

Così aveva detto Lea, nel mio bagno, prima di donarsi a me ancora una volta nonostante fosse sconsiderato farlo da parte di entrambi.

Ma parti di Lea erano già andate perse per sempre, in un oblio nel quale mi piaceva pensare avessero trovato le parti perse per sempre di me, in un luogo senza spazio e tempo, dove potevano scopare in santa pace, baciarsi senza vincoli, amarsi senza farsi ammazzare dai russi o da Sebastian.

E Lea aveva indossato la sua fame come fosse una maschera per tutta la vita: amami, stronzo. Puoi amarmi anche se mi lascio scopare dopo dieci minuti?

Lea non aveva mai smesso di essere affamata: nessuno l'aveva accolta al proprio tavolo, e lei sbocconcellava il suo nutrimento in qua e in là, come se Matteo Gessi fosse ancora vivo, pronto a frustarla non appena avesse soddisfatto in pieno la propria fame di affetto e amore.

Denis era il suo unico sostentamento, le dava tutto quello che poteva darle ma al tempo ero convinto che quel tutto non potesse bastarle, perché il destino era stato beffardo e l'amore di Denis non corrispondeva perfettamente a quello di Lea. Era un amore fraterno, inossidabile, inscalfibile, ma era una flebo che la teneva in vita, non un dannato hamburger unto che la rendeva felice.

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