10. Non è Trevor

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Il ragazzo dagli occhi chiari aveva un Porsche Cayenne S.

«Platinum edition» ci tenne anche a precisare.

A me interessava solo che avesse i vetri oscurati e uno spazio decoroso sul retro. Ma quell'auto era anche comoda, e fu una scoperta più che piacevole constatare che i sedili posteriori erano reclinabili e spaziosi.

La combinazione di alcol ed eccitazione scaldò le mani del possessore del bolide, che studiavano con minuzia i contorni del mio seno nudo, mentre la lingua e i denti ne saggiavano la consistenza.

Ci sapeva fare, ed era anche dotato di un torace asciutto ma atletico sotto la camicia bianca che si stava stropicciando sul tappetino, insieme al mio abito. Sembrava stessero scopando anche i nostri vestiti.

Tracciò un sentiero di saliva con la lingua dal mio sterno fino alla mia bocca, con intenzioni inequivocabili, che lo costrinsi a soffocare sul nascere.

«Niente baci, ragazzo. Puoi usare la lingua in altri frangenti.»

Sentivo la sua erezione premere sulla pancia e le sue mani muoversi con sempre maggiore convinzione, stringendo la mia carne e lasciandomi vistosi segni rossi che vedevo sparire in pochi secondi.

«Potresti usarla tu, fammi assaggiare la tua bocca almeno attraverso il cazzo, dai...»

«Non ne ho nessuna intenzione...» sussurrai. Avvertii la presa delle sue mani sul seno farsi morsa d'acciaio. La sua espressione era il frutto di una pericolosa miscela di brama e bisogno: niente di nuovo, niente che non avessi già affrontato, o smontato. O sfruttato.

«Ma ho altre piacevoli intenzioni...» lo rassicurai, inarcandomi sotto il suo corpo mentre con le mani mi abbassavo gli slip. Il suo viso quasi sembrò prendere fuoco prima di affondare sul mio collo, succhiando e mordendo la pelle delicata e sensibile. Le sue dita parevano ubriache mentre vagavano in ogni anfratto raggiungibile del mio corpo, incapaci di soffermarsi più di un istante nello stesso punto, voraci nella ricerca spasmodica di qualcosa di nuovo da toccare, stringere, palpare, come se avessero bisogno di esplorare anche ciò che non era possibile vedere, ma che di certo esisteva da qualche parte, come se quello che non si poteva vedere fosse ancora meglio di quello che si poteva vedere. Come se avesse voluto afferrare qualcosa di me che nessun altro aveva mai afferrato, assaggiato.

Una mano trovò pace tra le mie cosce, con carezze troppo decise, un po' dolorose, molto piacevoli. Aveva capito che con me poteva spingersi un po' più in là del solito, e stava cercando il confine di quel po' più in là, abbandonando ogni riguardo per i segni rossi che le sue mani e i suoi denti lasciavano sulla mia pelle chiara.

Era pericoloso, lo era sempre quando accadeva, quando lasciavo quella libertà a uno sconosciuto. Forse era quel pericolo che mi accendeva come una miccia, che risvegliava i sensi con fuochi d'artificio. Avevo sempre pensato che prima o poi sarei morta per mano di qualcuno in un frangente del genere. Poi era arrivato Trevor Baker a ispirare nuovi scenari di morte e tortura.

E il suo nome affiorato a tradimento nella mia coscienza fu la scintilla che mi dette fuoco definitivamente, che mi portò ad abbandonarmi a quel ragazzo che non era Trevor e a cui affidai le chiavi del mio corpo, lasciandolo a sua disposizione, come fosse una ciotola da cui abbeverarsi all'infinito.

«Puoi farmi quello che vuoi» gli sussurrai all'orecchio, e nel momento in cui lo dissi me ne pentii, ma ormai era tardi e non gli avrei fatto percepire il brivido di paura e tensione che si era infilato tra quelli di eccitazione e desiderio carnale.

Mi guardò come se fossi il più succulento pezzo di carne mai servito, e lui il lupo più affamato della foresta.

Mi prese le mani e le guidò verso i pantaloni che non si era ancora sfilato, incitandomi a spogliarlo.

PRICELESSWhere stories live. Discover now