84 Quella vita non è mai la tua

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Il problema dei ricordi belli è che diventano affilati come rasoi quando si affacciano in un momento della vita in cui va tutto a puttane

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Il problema dei ricordi belli è che diventano affilati come rasoi quando si affacciano in un momento della vita in cui va tutto a puttane. Fanno male, sanno ferire e far sanguinare e quella è un'emorragia difficile da arrestare. I ricordi belli, fanculo a loro, dovrebbero starsene alla larga nei momenti di merda se non sono in grado di trascinarti fuori dal pozzo disperazione, perché l'unico risultato possibile a quel punto è che s'immergono con te e s'imbrattano di sterco.

I cazzo di ricordi belli sono schiaffi sulla faccia dopo che la vita ti ha appena preso a pugni sul naso, sono perdite dolorose, l'ennesimo monito di un destino che ti fa dare un morso alla felicità solo per poi toglierti il piatto. E tu, piccola stronza inutile, resti con la tua fame che ti divora dentro, la sola compagnia del senso di colpa nei confronti di tutto quello che hai perso. Perché in fondo lo sapevi, lo sapevi che ogni regalo della tua esistenza richiede in cambio una vita. E quella vita non è mai la tua.

E quindi quel volto preoccupato, quello sguardo accusatore ma comprensivo fu il mio schiaffo sulla faccia dopo i pugni della vita.

«Miss Gessi...»

L'espressione del dottor Morgan, racchiuso nel piccolo display di Trevor, pareva la perfetta riproduzione della rassegnazione. Se a quel saluto affilato avesse aggiunto un "ve l'avevo detto", non mi sarei stupita. Ma quell'uomo era troppo raffinato per perdere tempo.

Dato che di tempo non ce n'era, ne fummo tutti sollevati e io non ebbi scelta se non quella di ricacciare indietro quella sensazione di fatidica tristezza che mi aveva attorcigliato lo stomaco nel rivedere il medico che ci aveva curati entrambi già una volta.

«Ustione profonda di secondo grado» sentenziò, nel vedere la situazione del mio polso e dell'avambraccio destro. «Con interessamento dello strato reticolare del derma. È dolorosa: se non è possibile prendere in considerazione un ricovero, procuratevi della morfina.»

Sospirò, forse per fare mente locale. Io faticavo a seguire le sue disposizioni in inglese, ma Trevor sembrava perfettamente lucido. Gli avevo tamponato la ferita con alcuni asciugamani puliti e l'emorragia sembrava sotto controllo. Ci contai, perché temevo di disperdere ogni informazione acquisita nel giro di pochi minuti. Il dottor Morgan si raccomandò più volte di fare attenzione affinché le vesciche rimanessero intatte: era fondamentale facessero il loro decorso da sole. Suggerì molte accortezze, ma ne compresi solo alcune. Ci inviò in digitale creme adatte alla cura dell'epidermide. Con l'aiuto di Trevor circondai le ustioni con uno strato di garze sterili imbevute di una pomata che al Sweety non mancava mai, dato che nel cucinotto e al bancone il rischio di tagliarsi o scottarsi era frequente.

«Probabilmente resterà la cicatrice, miss Gessi. Non escludo le salga la febbre. Se accade può prendere del paracetamolo. Si tenga idratata, non esponga la parte ustionata alla luce del sole in nessun caso, nemmeno se il cielo è coperto. Per i prossimi dodici mesi dovrà applicare sempre una protezione altissima. Faccia gli impacchi con le pomate che le ho inviato per almeno un mese e comunque prosegua per due settimane anche in seguito alla scomparsa delle vesciche.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now