76 Scolpiranno il mio nome sulla tua carne

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⚠️⚠️ il capitolo potrebbe urtare gli animi più sensibili per le scene di violenza presenti ⚠️⚠️

Mi salvò il terzo di loro. Sentii allentarsi la presa intorno al collo, quanto bastava per tornare a sentire l'aria passare e raggiugere i polmoni.

Avevo il campo visivo pieno di stelline e puntini luccicanti che danzavano con la vita che mi aveva quasi abbandonata.

Scalciai alla cieca, senza più sapere nemmeno da che parte ero girata, se ero seduta, se ero in piedi, se ero in ginocchio o abbandonata per terra.

Ma qualcosa colpii e per una frazione di secondo sentii i polsi finalmente liberi. Mi trascinai via, seguendo un istinto senza speranza, verso quella che pregavo fosse la direzione giusta, o almeno non la peggiore. Fuori dal bancone, tornai a mettere a fuoco: la porta a troppi metri di distanza per arrivarci strisciando come una serpe.

Dietro, le loro voci si inseguivano sbraitando. Discutevano, perché almeno uno di loro non voleva macchiarsi di omicidio. Ma gli altri due, evidentemente, non erano dello stesso parere.

Mi rimisi in piedi, stordita, il corpo che era solo un intrico di dolori da gestire.

Le gambe mi ressero, ma qualcosa mi artigliò la caviglia e mi ritrovai di nuovo a terra.

Lanciai un urlo frustrato, incazzato.

«E se mi afferra per una caviglia mentre corro?»

«Scalci come se non ci fosse un domani, Lea. Scalci fino a spezzargli le dita, la faccia, tutto quello che puoi raggiungere con i piedi.» (*)

(*) frasi del capitolo 35

E lo feci. Scalciai, scalciai di nuovo, più forte, più in fretta, guidata dall'istinto omicida ancor più che dal desiderio di vivere. Le tennis urtavano qualcosa, qualcosa che forse si spezzava sotto il peso dei miei colpi, ma che non mi lasciava, cazzo, non mi lasciava andare.

«Mollami, stronzo! Mollami!»

E poi due braccia enormi mi sollevarono da terra solo per schiantarmi poco più in là, con il chiaro intento di farmi male, tanto.

Difesi la testa dallo schianto con le braccia, già martoriate dalla presa impietosa che mi aveva tenuta in ostaggio fino a poco prima. Salvai il naso, già sanguinante, e la bocca, che non se la passava meglio, ma petto e costole mi parvero andare in frantumi. Il tonfo mi implose nei polmoni, svuotandoli troppo in fretta di tutta l'aria che avevo dentro.

Mi sentii voltare supina in fretta, e l'ennesimo terribile schiaffo mi colpì sulla faccia, e se pensavo che i primi fossero stati forti, quello fu insostenibile. Forse mi si era rotto qualcosa dentro, perché nulla poteva reggere a tanta violenza, tanta crudeltà.

«Ma dove cazzo vuoi andare, stronza!»

Non ci vedevo più, era tutto rosso, ma era rosso sangue. Il mio. Non mi sentivo la faccia, né le braccia. Forse era meglio. Forse era meglio non sentire tutto quel dolore, non dover contare le fratture, i punti in cui qualcosa si era spezzato, sempre che ci fosse ancora qualcosa, in me, che non lo fosse.

Una mano planò anche sull'altra parte del viso, forse perché era l'unica che ancora non sanguinava.

«Tommy, porca puttana, la uccidi, la uccidi cazzo!» Una voce sconosciuta, più terrorizzata di quanto lo fossi io. 

In un qualche modo, raddrizzai la testa. Presi atto del fatto che l'osso del collo funzionava ancora. Mi sembrava di andare a fuoco, mi bruciava la faccia, e sentivo un fischio preoccupante nelle orecchie, che mi rendeva difficile capire quello che sentivo.

PRICELESSWhere stories live. Discover now