18 La Dea più capricciosa dell'Olimpo

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Alla guida avevo fatto salire Sergej con lo scopo di fare compagnia ad Andrey, dato che io, dietro, ero isolato da loro, insieme a Lea.

Era nervosa, ribolliva di domande, e mi piacque lasciarla cuocersi nella sua inquietudine, mentre scuoteva le ginocchia accavallate in un moto quasi isterico.

Non ero immune dalla tensione nemmeno io, data l'importanza dell'appuntamento a cui stavamo andando.

Eravamo quasi fuori città quando finalmente mi rivolse la parola.

«Posso sapere dove diavolo mi stai portando?»

«Se te lo dico la smetti di agitare quelle gambe? Mi sembra di viaggiare su una pedana vibrante.»

Mi guardò quasi stupita.

«È pazzesco che tu non mi abbia sputato addosso una battuta di pessimo gusto sfruttando la circostanza.»

In realtà avevo abortito numerose frecciatine che prevedevano la partecipazione della parola vibratore, ma inghiottii quella verità e la tenni per me.

«Non istigarmi, sarebbe davvero troppo facile. Stiamo andando a Milano.»

Incamerò la risposta senza trovare la pace interiore: continuò ad agitare ora il piede, ora le ginocchia, ora entrambe le cose contemporaneamente. Scambiò l'accavallamento delle cosce diverse volte, intrecciò le dita, si grattò inutilmente i polsi sui quali iniziavano a comparire i lividi di cui ero artefice. Poi prese ad alitare sul vetro e a disegnare idiozie con i polpastrelli.

«Una bambina, cazzo.»

Si girò verso di me solo per un istante, per studiare la mia espressione, probabilmente. Si voltò nuovamente ad alitare sul finestrino e mi rispose solo quando terminò la scritta "fuck you" con le dita.

«Cosa ti infastidisce, Trevor?»

«A parte la squinternata che scrive oscenità sui vetri di una delle mie vetture?»

Si rimise composta, mordendosi le labbra con l'evidente intento di nascondermi un sorriso buffo.

«È una cosa divertente, signor Baker. Ma capita spesso che faccia imbestialire voi maschietti. Persino Denis mi sgrida.»

«Ma tu, ovviamente, perseveri nel farlo.»

«È un divertimento che non arreca grossi danni. Perché rinunciare?»

«Perché restano i segni, Lea. Me ne dovrò andare in giro con un'auto sulla quale, in controluce, compaiono le scritte "fuck you" e "free Britney". Porca puttana.»

E scoppiò a ridere. E Cristo, fu un suono che mi piacque quasi quanto quello dei suoi gemiti avvolti dalle mie dita.

«Che cazzo ridi, ragazzina?»

«Ti ho disegnato un cuoricino vicino alla parola Britney.»

Sbuffai, infastidito, ma non troppo.

«Perfetto. Davvero perfetto.»

Si posò un breve silenzio tra noi, che spezzò lei.

«Non sono danni grossi, se si vedono solo a volte. Solo in controluce. E solo se guardi bene.»

Avrei voluto darle ragione. Ma aveva torto, e lei lo sapeva bene. Non comprendevo ancora quanto lo sapesse, in che misura, quanto quella consapevolezza le fosse stata piantata tra carne e ossa e quanto le fosse inevitabile illudersi del contrario.

«Proprio tu, che non fai che parlare di valore, dovresti sapere che la dimensione di qualcosa non ne misura la stima. Un danno piccolo, Lea, può compromettere un intero sistema, soprattutto se passa inosservato troppo a lungo.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now