67 Il grillo che mette nel sacco il gorilla

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Nella hall della Baker tower incrociammo Sebastian. Nell'uscire dall'ascensore, il passo di Trevor non conobbe nessuna esitazione, ma lui di certo era abituato a vedere suo padre; io lo avevo visto tre volte in tre giorni dopo averlo evitato per una vita intera, limitandomi a costruire un sofisticato meccanismo di distruzione a distanza a suo danno. Se non bastavano le cazzo di sfere vaginali a trasformare la mia camminata in un'arrancata, di certo lo avrebbe fatto lo sguardo carico di biasimo di quell'uomo.

D'improvviso, le Louboutin divennero trampoli precari e dovetti aggrapparmi al polso di Trevor per improvvisare un'adeguata stabilità. Il mio piccolo grande Baker finse di non accorgersene, ma accorciò la sua falcata in mio favore.

L'inequivocabile intenzione di Trevor era quella di uscire di lì senza imbrattare la nostra giornata scambiando parole con suo padre, ma Sebastian richiamò suo figlio con un tono perentorio che ci impose di fermarci. Forse per ricordare a tutti gli sguardi affamati di gossip in quella hall che lì dentro non c'era nessun erede al trono ma solo due sovrani che si scornavano, Trevor non concesse a Sebastian niente di più: rimase dov'era, con me accanto, costringendo lui ad avvicinarsi a noi.

Mi fece il favore di non degnarmi di uno sguardo, probabilmente ritenendo che la cosa mi avrebbe offesa anziché sollevata.

«Siete voi i responsabili della pagliacciata qua fuori?» sibilò.

Mi scambiai uno sguardo veloce con Trevor: chiaramente nessuno di noi due capiva a cosa si riferisse la vecchia mummia.

«No. Non ho idea di cosa sia successo fuori mentre lavoravo con la mia nuova socia in affari.»

Le pupille acquose di Sebastian si soffermarono meno di un secondo su di me. Tanto mi bastò a sentirmi sporca.

«Mandi a puttane il buon nome della famiglia per una ragazzina?»

«Non abbiamo un buon nome, papà. E se non sbaglio qua si va a puttane da un paio di generazioni, dato che non manchi mai di ricordarmi di chi sono figlio.»

Notai con un certo disgusto che quando Sebastian Baker doveva gestire l'incazzatura senza poterla esternare pubblicamente, gli si allargavano le narici e il suo respiro diventava catarroso.

«Fai in modo che quei buffoni là fuori spariscano. E fai anche in modo che la tua ragazzina si vesta in maniera adeguata, Trevor. Questo non è un night club.»

Vidi Trevor mettere in canna la sua risposta, ma per quanto lo stomaco cercasse di zittirmi avvolgendosi su se stesso, decisi di far sentire la mia voce, nel mio inglese spigoloso, sperando che th suonasse porno anche alle orecchie di quello stronzo senza onore.

«Rivedrò il mio abbigliamento, signor Baker, non si preoccupi. Sappiamo entrambi quanto contino le apparenze quando si ha così tanto da nascondere, dico bene?»

Mi si avvicinò, il viso così tanto vicino al mio da causarmi un'ondata di nausea: mi guardò come se volesse pugnalarmi con gli occhi. Trevor spostò la sua spalla davanti alla mia: un gesto minuscolo, quasi impercettibile ai più, eppure efficace nel ricordarmi che anche se ritenevamo entrambi che potessi cavarmela da sola, lui non mi avrebbe permesso di subire una sconfitta senza intervenire. Sebastian mi colpì comunque con la sua lingua impietosa. «Tu, piccola stronza, vali così poco che qualunque apparenza è sprecata. Persino tenerti nascosta è una perdita tempo.»

E anche se avvertii il corpo di Trevor irrigidirsi all'istante, pronto non solo a incassare al posto mio, ma anche a respingere e a colpire, io ignorai tutto il mio disgusto e annullai la già esigua distanza tra me e Sebastian, avvertendo il fiato infame schiantarsi sulla mia faccia e soffocando un conato che avrebbe decretato il mio fallimento. Riuscii a rispondergli senza vomitare. «Allora è un bene che io non mi nasconda più, signor Baker. Perché a lei di tempo ne è rimasto davvero poco.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now