29 Un nome per il sesso e uno per l'amore

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*** NEL CAPITOLO NON SONO PRESENTI SCENE DI VIOLENZA NE' ABUSI, MA POTREBBE RISULTARE COMUNQUE CRUDO O DISTURBANTE DATO CHE L'AUTRICE TENDE A DARE VITA A PERSONAGGI CHE SONO EMERITE TESTE DI CAZZO. LETTORE AVVISATO ECCETERA. LOVE!***

Non ho nulla da insegnarvi, non sono qui per propinare lezioni di vita, né per dare consigli, quindi non starò a sbrodolare lunghe frasi contorte e articolate sulla differenza che c'è tra sesso e amore.

Ma, se qualcuno dovesse mai chiedermi un parere, avrei un nome per l'amore, e un nome per il sesso.

Amore: Denis.

Sesso: Trevor.

A quel punto probabilmente qualcun altro cercherebbe di convincermi che esiste anche un nome per l'amore insieme al sesso, e io non dubito che esista e che qualcuno lo abbia incontrato.

Fatto sta che quel giorno, quello in cui Trevor Baker, Mister Sesso, mi accompagnò al bagno per assicurarsi che ci arrivassi senza svenire nel tentativo di raggiungere la porta, io ero convinta che a legarci l'uno all'altra non ci fosse alcun sentimento sano, ma solo una tossica dipendenza condita con un appagante sesso privo di scrupoli. Mi piaceva anche pensare che l'unico a dover fare i conti con la tossica dipendenza fosse lui, e quindi avevo tutte le intenzioni di alimentarla con una dose di appagante sesso privo di scrupoli.

E invece lo stronzo, quel pomeriggio, di scrupoli si ne fece un sacco: non ci voleva proprio venire sotto la doccia con me, conscio del fatto che i nostri corpi nudi sotto l'acqua si sarebbero facilmente abbandonati a un magico incastro.

«Non sei assolutamente nelle condizioni» sentenziò, spazientito, allontanando le mie mani dalla sua camicia ancora costellata di gocce di sangue incrostato.

«Pensi di poterlo stabilire tu, Trevor Baker?» domandai, sfilandomi la sua maglietta di dosso. Lo vidi piantarmi gli occhi sul ventre livido.

«Sì.»

Per un attimo pensai avesse ragione, che il mio corpo avesse sopportato troppo, che si sarebbe disintegrato sotto la pressione di un altro essere umano, che sarebbe scoppiato se gli si fosse infilato qualcos'altro dentro. Per un attimo, uno soltanto, pensai che i suoi occhi avessero il potere di valutare la mia condizione fisica ed emotiva meglio di quanto potessi fare io.

Scacciai via quel dubbio prima che mi si potesse depositare nel cervello.

«Allora esci adesso, esci prima che io mi tolga qualcos'altro di dosso perché permetto a un uomo di indossare ancora i propri abiti mentre io mi svesto solo se tra di noi ci sono una web cam e un sacco di soldi che transitano dal suo conto al mio.»

Aggrottò le sopracciglia, serio. Parve rifletterci, addirittura. Infine, disse l'ultima cosa che mi sarei aspettata da lui. «Va bene.» E in quel momento mi spezzai in due metà esatte: una che si convinse di aver ormai assunto le sembianze di un frutto invaso dai vermi, la cui polpa dolce e invitante era marcita, dilaniata da ciò che le strisciava dentro; l'altra metà che prese lucidamente atto che quello era un pensiero irrazionale, il risultato di un abuso che non avevo ancora elaborato del tutto. La seconda metà tentò inutilmente di rassicurare la prima, e mentre entrambe vedevano Trevor uscire dal bagno, si mescolarono tra loro generando una nuova frattura, un nuovo solco nella superficie sempre più fragile e sottile della mia apparenza. Mi abbandonai pesantemente sulla seggiola in plastica che ospitava un accappatoio perfettamente piegato. Lo gettai a terra, sfilandomelo da sotto le natiche. Studiai le mie mani abbandonate sulle ginocchia per qualche tempo, cercando di ritrovare un po' di voglia di vivere, senza trovarla. Trovai comunque il desiderio di farmi una doccia, perché in quelle condizioni non era dignitoso nemmeno lasciarsi morire.

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