32 Quello che sta intorno al cuore

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La privazione. Eccolo, l'atteggiamento compensativo di Lea. Aveva ceduto al piacere, abbuffandosene con Matteo Gessi. Questo, almeno, quello di cui lui aveva cercato di convincerla.

La vedevo mentre faceva danzare la forchetta sul piatto, portandosela alla bocca solo raramente, infilzando poco più del nulla.

Attesi che si arrendesse: non ci volle molto.

«Non ho fame.»

Mi sfidò con lo sguardo.

Non mangerò. Questo, gridavano i suoi occhioni verdi.

«Non farti del male, bambina. Posso proteggerti da tutti, ma non da te stessa.»

Sbatté le ciglia chiare, incamerando la mia frase. Abbandonò la sfida che aveva lanciato a me, e ne lanciò una al piatto, abbassando lo sguardo sul cibo. Purtroppo, Lea non vinse.

«Non ho fame» ripeté.

Si chiuse lo stomaco anche a me. Ma io non avevo voglia di incassare una sconfitta. C'erano vizi cui Lea cedeva spesso, e che potevano salvarla. Forse.

«Ti porto in quel posto con le patatine unte?»

Mi sorrise, e mi si riaprii lo stomaco. Durò poco. «No, non mi va di uscire.»

«Ordino a domicilio.»

Scosse la testa. I capelli si erano asciugati in un groviglio rossastro. Era quasi buio, fuori, e Lea era pallida come la luna. Bellissima, cazzo.

«Dimmi di cosa hai voglia.»

Sospirò: era stanca. Di tutto. Non avrebbe trovato una risposta, non sapeva di cosa aveva voglia. Ma io volevo aiutarla. «Vieni qua.»

L'avevo invitata, non era un ordine. Accettò il mio invito, e si sedette sulle mie gambe, di lato, con la ginocchia ben strette tra loro, la testa sulla mia spalla. Una coccola per entrambi, anche se io ero incredibilmente scomodo. Forse, prima di nutrire Lea, potevo nutrire la bambina.

«Vuoi un gelato?»

Si animò, alzando la testa. Il sorriso si allargò. «Cazzo, sì!»

Fu difficile non commuovermi. «Con un po' di frutta?»

Annuì con una convinzione che avrebbe sgretolato una montagna.

«Panna montata?»

Si illuminò, e mi parve un miracolo che quella donna potesse brillare più di quanto aveva fatto fino a quel momento, che potesse emanare più luce di quella che mi aveva regalato in quelle settimane. Poi aggiunse:

«E cioccolata, zuccherini colorati e noccioline.»

Ed ecco, ero incastrato. Non so dire quando era iniziato, anche se non aveva mai smesso di evolversi. Ma l'unico vero attimo che riesco a individuare è proprio quello in cui lei trovò la felicità in un gelato: lo stesso in cui dovetti ammettere con me stesso di essermi innamorato di Lea Gessi.

***

Il suono del cucchiaino che scavava nel vetro mi aveva messo di buon umore. Avevo mandato a prendere una quantità di gelato assurda, perché non sapevo che gusti preferiva. Ma Lea li aveva assaggiati tutti quanti e graditi senza distinzione. Aveva svuotato tre bicchieri di gelato, spruzzando sopra la panna montata e versando anche glassa al cioccolato, anelli di zucchero e granella di nocciole. Le fragole non le avevo trovate, ma in un qualche modo vennero servite anche pesche, melone, albicocche e ananas.

Aveva sorriso, e aveva anche riso, di quella risata acuta, che esce dalla gola, ma anche di quella profonda, che tracima dalla pancia.

Lea non mi parlò più di suo padre, io non le chiesi altro. Avrei voluto sapere di Blue Osmani, che non aveva mai nominato prima di raccontarmi delle liquerizie e delle sigarette. Ma avevo paura di frantumare la sua ritrovata allegria, quindi la lasciai parlare di quello che la rendeva felice: Denis.

Lui teneva insieme i suoi pezzi, ed ebbi il dubbio che Lea fosse passata dalla gabbia buia di Matteo Gessi a quella dorata di Denis, senza accorgersene. La sua dipendenza affettiva mi preoccupava, era il frutto di una frattura profonda, colmata in parte di cose sbagliate.

Quando si sentì sazia lasciò cadere il cucchiaino nel bicchiere: il tintinnio le piacque, riprese il cucchiaino e la lasciò andare di nuovo, mordendosi le labbra ma senza nascondere il sorriso.

Avrei voluto fotografarla così, felicemente assorta dal nulla.

«Domani sei in malattia, ho pensato io al tuo certificato medico.»

Fece rimbalzare il cucchiaino un'altra volta, prima di alzare lo sguardo di nuovo su di me.

«Il mio cuore appartiene a un altro, Trevor. Lo hai capito, vero?»

Lo avevo capito. Anche se non capivo come potesse funzionare tra loro.

«Mi accontento di tutto quello che sta intorno al tuo cuore, allora.»

Fece un'espressione maliziosa, abbandonandosi sulla sedia.

«Mi porti a letto, Mister Wall Street?»

Mi alzai e la invitai a fare altrettanto. «Ti porto a letto, sì. E dormirai, Lea. Da sola.»

Mise il broncio, porca puttana. Era tutto difficile.

«Perché da sola?»

La baciai sulla fronte desiderando di strapparle le mutande, liberare la sua orchidea pulsante di desiderio e affondarci le dita, la lingua e l'uccello, in ordine sparso e a più riprese.

«Perché non ti farò più niente che implichi la fuoriuscita di sangue dal tuo corpo.»

Sbuffò. «Che stronzata, Trevor. Non è una lama quella che ti sporge tra le gambe...»

La similitudine mi fece ridere. «Devi riposare per un po'...»

Fece una smorfia contrariata che avrei voluto succhiare con foga. «Ma ci sono altri modi per godere, bambina.»

«Tipo quali?» Me lo chiese sorridendo.

«Te lo spiego più tardi. Adesso devo lavorare.»

Altra smorfia. Dio, che fatica mi costava sostenerla senza strapparle i vestiti di dosso.

«Ok.»

Lasciò che l'accompagnassi a letto, dove si addormentò in fretta, e mi stavo ancora nutrendo del suo respiro regolare e della sua espressione rilassata, quando Andrey entrò senza bussare.

«Trevor...»

«Ho quasi finito, non rompere il cazzo pure tu.»

Mi si affiancò, e la guardò anche lui. Chissà se vedeva quello che vedevo io.

«È arrivato il frocetto.»

«Era ora.»

«Ed è appena entrato anche tuo padre.»

Un brivido mi attraversò la spina dorsale. Avevo trentacinque anni. Lui ottantuno appena compiuti. Ma ero stato onesto con Lea: avevo ancora paura di lui.

«Cazzo.»

SPAZIO AUTRICE.

In caso di dubbi sul "possessore del cuore di Lea" FORSE il capitolo 13 può aiutare.
Ma anche il capitolo di Milano in cui lei telefona a Denis CAPITOLO 20 SEI TU LA SOLA COSA IMPORTANTE

C'è un po' di zucchero in questo miele. RIDATECI IL BAD BOY TREVOR! Tranquilli, è ancora stronzo. Ma non con Lea, a quanto pare.

Sebastian Baker è arrivato, miei cari lettori. Le colpe dei padri ricadono sui figli, vale per i padri morti, come Matteo Gessi, che del padre si era preso solo alcune funzioni, e per i padri vivi, come Sebastian, che del padre si era attribuito solo la parte genetica.

E poi c'è un altro personaggio che...ma non fatemi dire niente, dai. Però cose e persone possono NON essere ciò che sembrano.

Ve lo ricordate qual è il posto con le patatine unte?
CAPITOLO 7 LA SUA DEGNA EREDE

A SABATO

PRICELESSTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang