57 Questo non può essere peggio

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Sulla poltroncina del camerino erano ammassati strati su strati di sete e cotoni, paillettes e vouland, mille sfumature di rosso, pennellate di nero, fantasie sgargianti e pizzi eleganti.

E nessuna di quelle opere d'arte sartoriali si era guadagnata il mio sì.

Sbuffai appoggiando l'ennesimo abito sulla pila di scelte sbagliate.

«Ti sto facendo impazzire, scusami.»

Ely era andata in magazzino almeno cinque volte, in cerca di qualcosa che nemmeno io sapevo descrivere. Nonostante le avessi sputtanato il pomeriggio di lavoro non aveva perso il sorriso, e nemmeno la pazienza. Mi sentii profondamente in colpa, conscia del fatto che poi quella povera ragazza avrebbe dovuto rimettere tutti quegli abiti al loro posto.

«Potrei esserti più utile se mi potessi dire qualcosa di più sul luogo, sull'ora, sugli altri invitati...»

Vado a Londra, dal più bel criminale mai visto, per fargli una sorpresa davanti a giornalisti e assassini.

«Non so molto, a dir la verità. Potrei riassumere così la mia ipotesi di serata: gente ricca, gente noiosa, gente pettegola. Molto alcol, cibo sprecato, sguardi crudeli.»

«Quindi vai per lavoro?»

In effetti, era la conclusione più ovvia, per quanto sbagliata. Sorrisi. «No, vado per... amore.»

Ely s'illuminò. «Oh, allora è un'occasione davvero importante, Lea. In quella scatola ci sono le scarpe che vuoi indossare?»

Annuii, raccogliendola da terra e sollevando il coperchio. La commessa le guardò come se stessi aprendo una reliquia.

«Tesoro mio, hai avuto un gran gusto.»

Richiusi la scatola, abbattuta. «Sì, ma non posso mettere addosso solo queste. Mi serve qualcosa di elegante ma... che si noti, ecco. Vorrei che mi vedesse. Anzi no, vorrei che mi guardasse. Mi serve un abito che lo costringa a girarsi per me, capisci? Mi serve un abito raffinato ma appariscente. Lo so che è un controsenso.»

Ely mi prese la scatola dalle mani, e ne tirò fuori una delle due scarpe. «Lea, la vedi questa?»

«Certo.»

«Quante ce n'erano in vetrina?»

«Le ho prese on line...»

«Quante ce n'erano in home page?»

«Non saprei... decine, credo.»

«E queste erano le più strane? Elaborate? Appariscenti?»

Le guardai di nuovo. Erano sinuose, semplici, prive di fronzoli. Delle decolleté Valentino Garavani, una griffe che non avevo mai posseduto, di raso rosso, con un sottile e semplicemente perfetto nastrino sul lato del tallone. Niente plateau, niente cristalli, niente decorazioni in rilievo o a contrasto. «No, erano solo le più...» non trovavo la definizione.

«Le più giuste per te.»

«Sì.»

«Allora, Lea, vuoi l'abito che gli altri si aspettano che tu indossi, o l'abito più giusto per te?»

«Ma lui mi ha già vista in abito da sera un sacco di volte e...»

«Ha visto te dentro un abito, non un abito addosso a te.» Pausa. «Ma credo ti abbia vista anche fuori dagli abiti, giusto?»

Sorrisi. «Sì.»

«Vuoi davvero che ti noti, Lea?»

«Sì.»

«Allora perché vuoi che noti anche l'abito?»

Stavo per chiederle quando avesse trovato il tempo di prendere una laurea in psicologia, quando mise fine a tutti i miei conflitti. «Ho il vestito giusto. Giusto per te.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now