69 Non ti darei mai meno di tutto

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L'aeroporto era un posto in cui non mi sentivo a mio agio. Mi ero sentita sperduta a Malpensa, all'andata, ma per fortuna Denis mi aveva seguita fin quasi sull'aereo.

Se non scoppiavo a piangere nel bel mezzo dell'aeroporto di Heathrow era solo perché mi ero completamente abbandonata alla naturalezza con cui Trevor gestiva tutto: dai bagagli ai documenti. Si muoveva dentro quell'immenso casino di voci, persone e valigie come se ci abitasse da sempre. Aveva fatto il check in on line, naturalmente, sia per noi che per i bagagli, che vennero ritirati a domicilio.

«Dobbiamo comunque superare i controlli di sicurezza e quelli per i visti e i documenti. Ci penso io, ma devi essere con me perché vorranno verificare la foto sul passaporto.»

«Non serve alcun visto per tornare in Italia, mister ViaggioTalmenteTantoCheUsoIlVistoAnchePerAndareAlCesso.»

«Devi essere con me» tagliò corto, e siccome a me piaceva un sacco essere con lui, pensai che lo stesso valeva per Trevor e quindi lasciai perdere la questione.

Chiaramente mister Sterlina viaggiava in prima, e io con lui, quindi fece quella cosa sfacciata che a Malpensa mi aveva indignata quando a sfruttarla furono persone che non erano Trevor: usò il fast track e, di fatto, saltò la fila.

Capii che c'era qualcosa di strano nel momento in cui tirò fuori dalla tasca due passaporti e due visti. Uno suo e uno mio.

Io un visto non l'avevo.

Non so come, ma riusii a inghiottire lo sconcerto mentre l'addetto confrontava la mia foto con la mia faccia. Il personale si dichiarò soddisfatto sia della mia faccia che della mia foto che del mio passaporto che del mio visto che in realtà non era mio. Trattenni domande, dubbi, insinuazioni, accuse e crisi isteriche finchè ci fummo allontanati. Poi la diga iniziò a cedere.

«Trevor...»

«Stai buona bambina, devo controllare il gate dalla app. E siccome l' app non l'ho creata io, fa schifo.»

«Trevor... perché hai un visto per me?»

«Gate A, perfetto, è quello principale. Abbiamo tutto il tempo di rilassarci nella Galleries First Lounge...»

«...non serve un visto per tornare in Italia, giusto?»

«... non è granché come vip lounge, se paragonata a quelle degli emirati arabi, ma è meglio di quella di Malpensa. Al primo scalo ti mostro il vero lusso, mia queen...»

«Quale scalo? Il volo dura pochissimo...»

Finalmente alzò lo sguardo da quel dannato display, si infilò il cellulare in tasca, mi avvolse il viso con le mani e mi rifilò il bacio più arrogante di cui era capace. E i baci di Trevor erano tutti molto arroganti, quindi fate voi. Ovviamente misi da parte la sfilza di interrogativi che mi attanagliavano per godermi la sua lingua dentro la mia bocca. Non giudicatemi per questo. Oppure fatelo, amen.

Mi lasciò andare dopo parecchio tempo. Per fortuna la mia ossigenazione era tornata nella norma, o il dottor Morgan mi avrebbe ricoverata nella sua clinica per insufficienza respiratoria dopo quell'apnea.

Mi guardò e non capii se era più preoccupato o più su di giri.

«Buon compleanno, Lea.»

Non ci capivo più niente. «Abbiamo già festeggiato il mio compleanno, e mi hai fatto un regalo che vale come una promessa. "Siamo qui per essere serviti e non per servire, nella buona e nella cattiva sorte".»

Mi sorrise e in quel momento era più su di giri che preoccupato. «Ok, allora niente compleanno. Optiamo per... una luna di miele?»

Mi sentivo come dopo una sbronza colossale, ma senza mal di testa e senza urti di vomito: solo confusa e vagamente felice.

PRICELESSWhere stories live. Discover now