45 La migliore cosa sbagliata della mia vita (parte 3)

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Che dentro avevo un vuoto che avevo colmato di una sola cosa giusta, ovvero Denis, e decine di cose sbagliate, lo sapevamo sia che Trevor.

Ma certi abissi neri possono divorarti anche dall'interno se non li colmi di qualcosa, e così io avevo cercato di salvarmi come avevo potuto, rifugiandomi nel Pocket Cofee e nei Martini di Denis ogni qual volta il sesso occasionale e le mie troppe identità non erano più transenne sufficienti a blandire il vortice buio intorno al quale ero cresciuta.

E poi era arrivata la cosa più sbagliata di tutte, ma abbastanza grande da spazzare via tutto ciò con cui avevo riempito il mio vuoto e sostituirlo comodamente e senza fatica.

E così, ritenni opportuno farglielo sapere in quel momento, mentre mi guardava come se volesse salvarmi e sbranarmi in egual misura, nudo tra le mie gambe altrettanto nude, convinto che lo avrei implorato di fermarsi prima che lui potesse sentirsi anche solo vagamente soddisfatto da quello che forse sarebbe stato un sesso condito da sentimento.

«Trevor...»

Mi baciò sulla punta del naso e stava diventando un gesto di cui non potevo fare a meno, come il miele nello yogurt. «Cosa c'è?» mi chiese, e lo fece sorridendomi, anche se il suo uccello tra le gambe pareva minaccioso quanto una rivoltella se non mi fossi sbrigata ad aprirgli qualche varco.

«Sei la migliore cosa sbagliata della mia vita.»

E io non saprei come descrivere la sua espressione, ma credo che se Trevor Baker fosse stato scolpito nel marmo, si sarebbe comunque sciolto come gelato al pistacchio abbandonato su una panchina sotto l'impietoso sole estivo.

Mi soffiò il suo "ti amo anch'io" nell'orecchio, alla sua maniera. «E tu sei la sola stronza al mondo in grado di rubarmi qualcosa di prezioso senza che io la condanni a morte.»

Mi fece ridere di nuovo, di quella risata che non liberavo dalla pancia da quando mami era morta, da quando mi faceva il solletico nel lettone e mi prometteva che sarebbe andato tutto bene.

«Anche tu mi hai rubato delle cose, signor Baker. Parecchi segreti.»

«Ma non tutti, Lea. Tu invece il mio cuore te lo sei preso per intero, piccola ladra ingorda.»

Il mio vuoto divenne improvvisamente così piccolo da risultare trascurabile, umilmente insignificante dinnanzi al quel nuovo boato che mi crebbe dentro: un secondo battito cardiaco, complementare al mio, perfettamente intonato, calibrato in un ritmo unico.

Avevo due cuori, e li sentivo battere entrambi per me.

Trevor mi leccò via le due lacrime che abbandonarono gli angoli degli occhi, non parve né stupito né preoccupato, mi guardò per meno di un secondo prima appoggiare la sua bocca sulla mia.

E poi, mi fu dentro. Senza preavviso, senza frasi o domande, mi conquistò quando decise che le parole non servivano più, che ci eravamo già detti tutto il necessario e che il suo famigerato ego di carne si era meritato un'entrata trionfale tra le mie morbide pareti di carne.

Sobbalzai, impreparata a quell'invasione prepotente, dolorosa e bruciante come una sconfitta, eppure squisitamente appagante.

Se Trevor mi avesse chiesto se mi faceva male, avrei dovuto mentire, perché la verità è che faceva male quanto una pugnalata, ma agognavo ogni spinta, ogni stilettata di quel dolore che ne cancellava di peggiori, sovrascrivendo umiliazioni con pennellate di morbose attenzioni e adorabili ossessioni.

Le spinte di Trevor erano proporzionali alla sua stazza: quasi insostenibili per un corpo come il mio, eppure pareva in grado di dosare con certosina precisione la sua forza, infondendo al bacino un impulso che non risultava eccessivo solo per quella misura che poteva essere una lacrima paragonata alla somma di tutti gli Oceani.

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