70 Incassare, elaborare, espellere (parte 1)

2.6K 111 403
                                    

La bugia è un vizio che ho sempre stimato, se perpetrato come si deve. Una menzogna ben rifilata ha quel non so chè di sensuale e sporco. Le donne che sanno mentire molto bene mi hanno sempre arrapato da morire. Lea mentiva da schifo eppure mi arrapava lo stesso perché lo faceva malissimo ma con convinzione. In ogni caso Lea era arrapante anche mentre respirava, per me.

Ero quindi un grande seguace dell'imbroglio, la Discordia era una dea cui ero devoto, e sapevo di essere uno dei suoi più bravi profeti: spandevo il mio falso verbo con soddisfazione, seminavo bugie da così tanto tempo che ormai era impossibile fermarne la proliferazione.

Tanto Lea faceva schifo a raccontare falsità, tanto io ero bravo a riconoscerle e ad affibbiarne agli altri. Ma c'era un ambito in cui mentivo peggio di lei, uno in cui non avevo scampo, uno in cui avevo due formidabili alleati nella vita che mi tradivano involontariamente ma inesorabilmente: nel sesso venivo tradito dal cazzo e dalla vena sul collo.

E l'esperta del sesso deprecabile, bugiardo, corrotto era Lea, che lo aveva conosciuto e inseguito e venerato fino a restarne prima incantata e poi vittima.

E quindi sapevo bene che in lei si era insinuato qualcosa tanto quanto un qualcosa si era insinuato dentro di me. Non aveva smesso di sorridere, non aveva smesso di farmi domande, non aveva smesso di mostrare entusiasmo per quel viaggio, mentre prendeva confidenza con un volo lunghissimo che diventava sopportabile grazie ai Martini che generosamente le servivano le hostess e le concedevo io.

Scopare in volo era stata una cazzata ma io avevo così voglia di lei che non avevo saputo resistere all'aroma del suo corpo frizzante che voleva a tutti i costi incastrarsi di nuovo con il mio.

Come cazzo potevo resisterle ancora, dopo giorni e giorni in cui avevo avuto modo di starle lontano almeno mentre lavoravo alla Tower?

Venticinque ore di volo, e dopo tre le avevo già infilato dentro l'uccello.

Una stronzata, una grossa, che avevo potuto camuffare concedendole di stare sopra, confidando nella scomodità del contesto.

Ma Lea era un fottuto segugio, aveva annusato la mia reticenza in certi aspetti prima ancora che ne potessi prendere consapevolezza io.

Avevo letto il biasimo nella sua espressione insieme allo spandersi dell'orgasmo, il piacere che si faceva largo sgomitando con la frustrazione.

Che era poi la stessa condizione con cui avevo dovuto fare i conti io, riversandole nella pancia un amplesso rassegnato.

Sapevo che la mia regina mi avrebbe presentato il conto, che avrebbe voluto capire, avrebbe dichiarato guerra alla mia condizione emotiva nei suoi confronti.

Ma mi sentivo morire alla sola idea di doverle dire cosa fosse accaduto e cosa ne fosse scaturito. Il semplice fatto che mi sentissi in quel modo e per quel motivo, faceva incazzare me, figuriamoci come avrebbe fatto sentire lei.

Dovevo solo lavorarci un po' su, elaborare il fatto che mi avesse toccato nel modo in cui aveva toccato l'agente Gessi, che mi avesse parlato come se fossi lui, che si fosse comportata con me come aveva fatto con quello stronzo. Come lui le aveva insegnato a fare.

Dovevo dimenticare la sensazione della sue dita che mi appiccicavano addosso gli avanzi degli abusi e le colpe dei nostri padri.

Sapevo che la mia cosina preferita, con me, non provava niente che fosse anche solo lontanamente paragonabile a quello che le aveva fatto provare Matteo Gessi, ma ne ero condizionato lo stesso.

Avevo assistito all'abuso che quella merda di Viktor le aveva inflitto, ma l'avevo anche vista resistervi con un dignità divina e infrangibile. Non si era né piegata né spezzata, aveva incassato, elaborato ed espulso. Lo aveva fatto a modo suo, lo aveva fatto in buona parte sotto la mia doccia, ma lo aveva fatto. Quantomeno, Cristo di Dio, Viktor non aveva provato a camuffare lo schifo che le aveva fatto.

PRICELESSWhere stories live. Discover now