20 (parte2)Sei tu, la mia sola cosa importante.

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E quando scesi, ovviamente, ebbi l'ennesima conferma di avere a che fare con una cazzo di bambina.

Le disposizioni erano state chiare, trasparenti, cristalline e mi fermo con gli aggettivi perché la mia lingua madre è un'altra.

Ma lei doveva trovare il modo di fare i capricci anche quando, di fatto, le avevo chiesto di non fare niente. Era un ordine semplice, no?

Doveva starsene tranquilla, con il suo vestito mozzafiato, ad accavallare le gambe mentre gli altri avventori del Demons cercavano di sbirciare tra le sue cosce. Oppure poteva sputtanare le mie fiches giocando a roba di cui nemmeno sapeva le regole. Avrei tutto sommato anche finto di non farmi irritare dalla scelta di bere quel secondo Martini che si era ordinata da sola.

Ma no. Se un essere umano diverso da Denis chiede a Lea Gessi di non farsi notare più del dovuto, lei cosa fa?

Si fa notare più del dovuto.

«Che strano, i tavoli da gioco sono quasi vuoti...»

Quando Bignardi, ancora in cima alle scale vecchie di secoli che di certo avevano visto e sentito di tutto, espresse il suo stupore, seppi con certezza che lo zampino di Lea era colpevole di chissà quale inutile stronzata.

E infatti.

Scesi le scale quasi di corsa, vedendola avvinghiata a quel dannato palo da lap dance già a metà della rampa.

Era scalza, come sempre quando si esibiva, e su quel dannato coso compiva acrobazie circensi del tutto incurante dell'effetto che la sua lingerie incautamente esposta stava provocando nel pubblico.

Era brava ovviamente, era elegante e sinuosa e sexy sulle note di quella canzone di Adele che non sapevo riconoscere, ma Cristo, quella era proprio una di quelle cose che al Demons non erano consentite.

«Lea, cazzo, scendi di lì!»

E mi vide subito, e mi sorrise subito, ma col cazzo che mi obbedì subito.

Quando Freed from desire sostituì le note di Adele le sue movenze divennero più decise, briose, e prese a cullare il suo culo perfetto in un esplicito invito rivolto a qualunque maschio eterosessuale presente in quella sala.

Dovevo fermarla, ma non è che volessi davvero farlo. Si stava divertendo come una bambina al luna park. Si sciolse i capelli lanciandomi il fermaglio, che presi al volo, e alla fine mi ritrovai ad ammirarla. E sì, lo sguardo mi cadde sulle sue gambe perfette, sulle sue braccia leggere, sulle sue caviglie sottili, ma non è lì che si soffermò, no. Si soffermò su quel sorriso innocente, gioioso, splendente. Era felice in quel momento. Le concessi il suo minuto di felicità, in fondo le avevo appena portato via qualcosa di importante senza che lei nemmeno lo sapesse.

Quando la canzone finì, si girò trionfale e si rivolse alle ballerine che erano rimaste a osservarla tra il pubblico.

«È così che si balla, ragazze.»

E incassò il suo applauso, al Demons come al Sweetydream.

L'aiutai a scendere, anche se non ne aveva bisogno. Aveva il fiatone, le guance arrossate e sentii l'innegabile presenza di un Martini nel suo alito.

«Oh, Trevor Baker, hai concluso il tuo affare, vedo.»

«L'ho già vista... lei è...» ma interruppi l'uomo prima che potesse proseguire.

«Signor Bignardi, vi invito a recarvi alla sala ristorante, nell'edificio di fianco. La cena è offerta. I miei legali prepareranno il necessario in questi giorni.»

E Lea strinse gli occhi come un felino che prepara un attacco, sperando di capire o ricordare quale legame ci fosse tra lei e quegli uomini. Ma era inebriata dalla danza e dall'alcol.

PRICELESSWhere stories live. Discover now