58 Gli affetti veri muoiono, quelli falsi uccidono

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Non ero mai stata più lontana da casa prima di allora, eppure avevo finalmente iniziato a sentirmi proprio a casa nell'istante in cui le mani di Trevor avevano sfiorato la mia pelle.

Il nodo fastidioso che mi aveva stretto lo stomaco in quei giorni allentò finalmente la presa, e tornai a respirare attraverso il suo sguardo adorante.

Io non lo so cos'era in grado di scorgere in me quell'uomo quando mi guardava, ma qualunque cosa fosse era sufficiente a tenerci in vita entrambi.

Io avevo smesso da un pezzo di chiedermi cosa vedevo quando lo guardavo, io mi abbandonavo al modo in cui mi faceva sentire, alla sua granitica capacità di mantenerci integri tutti e due, al suo talento nel dare al mondo una forma che si adattasse a noi senza che fossimo noi ad adattarci. La sua convinzione era la mia convinzione, e io quando ero con lui non ero più un insieme di pezzi sbagliati impossibili da incastrare l'uno con l'altro, ma un insieme di pezzi unici che non avevano più bisogno di incastrarsi tra loro perché tanto si incastravano con lui.

La mia insana dipendenza da Trevor che tanto mi aveva preoccupata fin dal nostro viaggio a Milano, era adesso un'insana dipendenza che alimentava la mia volontà di sgretolare un sistema che aveva mietuto una vittima di troppo: mia madre.

La presenza di Sebastian Baker era una frequenza stonata nella mia notte con Trevor: il suo sguardo violatore mi aveva pugnalata mentre gli sfilavo davanti, e io che avevo cercato rifugio nella sua stretta di mano di Trevor, avevo poi trovato una fortezza nel braccio che mi aveva circondato i fianchi e nel bacio che mi depositò sulla tempia, certa che fosse un messaggio tenero per me e minaccioso per suo padre.

Attraversai le porte scorrevoli di vetro satinato del Baker Hill sperando che l'intenzione di Trevor fosse davvero quella di lasciarmi sola il meno possibile, meglio se per niente.

E la hall di quel posto si presentò in tutta la sua colossale ed elegante strafottenza.

L'incontro tra classico e moderno era ben studiato, gli spazi ampi erano gestiti con intelligenza, ma l'unico elemento che mi convinse e che mi stupì fu il gigantesco lampadario in vetro colorato che ricopriva quasi l'intero soffitto, come se centinaia di bambini avessero liberato lì dentro palloncini di ogni forma e colore.

«Wow...»

«È italiano. Mio padre lo aveva ordinato bianco e dorato da un posto vicino a Venezia...»

«Murano, signor Baker.»

«Sì, giusto. Ma per fargli dispetto ho fatto modificare l'ordine. Ora è decisamente colorato.»

«Se tutti i tuoi dispetti hanno la forma di un capolavoro, ti prego, fanne qualcuno anche a me.»

Fu quasi doloroso distogliere lo sguardo da quella gioia di vetro, ma decisi fosse ora di valutare anche il pubblico, e non solo il palcoscenico.

«Riconosco alcuni volti...»

«È la gente famosa, bambina.»

«Alcuni invece non ho idea di chi siano.»

«Quella è la gente ricca.»

Cercai di valutare il contesto, di dare un significato al diffuso brusio che serpeggiava tra i cabaret con i bicchieri di Champagne e quei "cosi" piccoli che si mangiano dal nome francese.

Non ero esageratamente a disagio, ma supposi che la mia condizione emotiva avrebbe subito un crollo vertiginoso se Trevor mi avesse piantata lì in mezzo da sola.

«Bambina, non te la prendere, sei magnifica, ma davvero pallida.»

Riportai lo sguardo sull'unico altro capolavoro della hall, oltre al lampadario.

PRICELESSWhere stories live. Discover now