78 Sembra un addio, signor Baker

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Adesso ditemelo voi, porca puttana, come avrei potuto, dopo una notte come quella, pensare di allontanarmi da lei anche solo di un fiato, permettere che tra il mio corpo, grande e potente come un vulcano attivo, e il suo, piccolo e delizioso come una meringa, potesse frapporsi anche solo uno sbuffo di vento.

Non riuscivo neanche a guidare senza toccarla per accertarmi che non avesse troppo freddo, o senza guardarla per accertarmi che sulla sua pelle non fossero comparsi altri segni dell'aggressione.

Quando le dissi che l'avrei portata in braccio su per le scale mi rispose ribaltando gli occhi verso l'alto e sbuffando, senza sprecare fiato a mandarmi a fanculo.

«Almeno prendiamo l'ascensore, bambina.»

Ma s'incamminò lungo le scale, scalza e con le décollté in mano dopo aver lasciato le Nike al Sweety perché "quello è il loro posto".

«Hai rotto meno i coglioni dopo l'incontro con Viktor, signor Baker.»

Ed era vero, probabilmente. Perché con Viktor non l'avevo vista inerme mai, sotto di lui, cazzo. Con Viktor l'avevo vista rifiutarsi di piegarsi e impedirgli anche di spezzarla. Ma lo spettacolo del suo corpicino abbandonato sotto quello di un altro, del suo visino incrostato di sangue e di quella mano che le stringeva i polsi togliendole ogni possibilità di opporre resistenza aveva toccato nuovi nervi scoperti, portando a galla altre paure.

Le sfilai le scarpe dalle dita, assecondando la sua volontà, ma che la sua scelta non fosse accolta con piacere dal suo costato lo capii facilmente dal modo in cui respirava mentre faceva quelle scale.

Le permisi di mantenere la sua maschera da super eroina fino alla porta di casa, ma una volta che Lea l'ebbe chiusa alle nostre spalle fui io a spogliarla, io a sostenerla mentre si dava una ripulita e io a infilarle della biancheria pulita e un pigiama azzurro di Dumbo. E lei ebbe la decenza di non fare capricci.

La feci sdraiare nel letto, e mi afferrò un polso non appena cercai per allontanarmi.

«Torno subito.»

«Vieni a letto.»

Le presi la mano, un po' fredda, e gliela baciai prima di infilarla sotto le coperte insieme al resto del suo corpo maltratto.

«Ho detto che torno subito, fai la brava.»

Si arrese solo perché era stanca. Tornai con tre asciugamani, un bacinella di acqua fredda e del ghiaccio. Mi sedetti accanto a lei e Lea aprì gli occhi. Forse si era addormentata mentre non c'ero. Vide l'occorrente per la notte.

«Non serve, mio re.»

«Credo di saperne un po' più di te in merito, miss.»

«Mi servi solo tu, sotto le mie stesse coperte.»

«Chiudi gli occhi, Lea, e cerca di risposare perché ti sveglierò ogni due ore per accertarmi che tu non abbia una commozione cerebrale. Il ghiaccio dovrai sopportarlo, ma ti abituerai e domani il tuo faccino me ne sarà grato.»

L'accarezzai tra i capelli ma Lea fece quello che avevo fatto io poco prima: mi prese la mano e mi affidò un bacio leggero sulle nocche sbucciate. Ma aveva il broncio. «Mi fai dormire da sola...»

Un'accusa chiaramente infondata, oltre che impertinente. La piccola peste non si faceva scrupoli ad appellarsi al mio senso di colpa per ottenere quello che voleva. Naturalmente, quello che voleva non corrispondeva a quello di cui aveva bisogno.

«Ti prometto che quando avrò scongiurato la commozione cerebrale mi sdraierò accanto a te.»

«Quindi tra quanto tempo?»

PRICELESSWhere stories live. Discover now