53 Eppure Lea è viva

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Avevo scelto di non partecipare in nessun modo alla creazione di El Diablo, a suo tempo, per due motivi: il primo era che la ritenevo un'operazione esageratamente rischiosa dato che i Volkov e i Baker erano sì tra le famiglie più pericolose del mondo, ma non erano le uniche e c'erano governi ancora più pericolosi e non meno criminali cui rischiavamo di pestare i piedi. Il secondo era che se potevo fare un dispetto a mio padre senza lasciarci le penne, lo facevo.

Ora.

El Diablo non compie alcun distinguo nel rubare, il furto del malware è paritetico e democratico, si prende una fetta di tutte le transazioni finanziarie, comprese quelle che riguardano le nostre stesse Spa.

Dato che il tutto avveniva su Wall Street, ovvero un mercato finanziario americano espresso in dollari, Sebastian, i Volkov e i canadesi avevano ritenuto improbabile causare un brutto mal di pancia a organizzazioni criminali più potenti della nostra e a governi cui persino i russi preferivano leccare le scarpe piuttosto che pestarle, tipo quello nord coreano.

Era una conclusione ragionevole, ma dato che mio padre mi voleva dentro l'operazione solo per vantare un maggior controllo sui creatori di El Diablo, avevo deciso di farmi i cazzi miei.

Poi Matteo Gessi sputtanò tutto. Caos. Panico. Paura. Sangue. Accuse. La storica alleanza tra i Baker e i Volkov aveva vacillato pericolosamente e, francamente, il culo per forza di cose tremò un po' anche al sottoscritto. Mi consolo pensando che probabilmente lo stesso era accaduto a Viktor, anche se non ne avrò mai certezza. A quel punto smisi di farmi i cazzi miei e mi misi a disposizione di entrambe le fazioni per sbloccare quel dannato malware. Senza riuscirci. Mai.

Il mio orgoglio tremò molto più del mio culo. Matteo Gessi si era portato nella tomba anche i nomi dei padri di El Diablo. D'altra parte il segreto relativamente alla paternità del malware fungeva anche da assicurazione sulla vita: lui era l'unico anello di congiunzione tra Canada, Londra, Mosca ed El Diablo.

Già così, tutta la vicenda era stracolma di zone d'ombra e lati oscuri. Figuriamoci cosa poteva sembrarmi se inserivo in quel meccanismo anche Blue Osmani e Lea.

Andrey non sembrava custode di chissà quale altra inaspettata conoscenza.

«Cristo, Andrey, sforzati. Come cazzo è successo che l'esistenza di Matteo Gessi è entrata in collisione con quella di Sebastian? Era solo un coglione italiano, un poliziotto corrotto alla crimini informatici in una città grande come una carie su un dente di coccodrillo.»

Buttò giù l'ennesimo bicchiere di Macallan. Quella conversazione mi costava cinquanta sterline a sorso, Cristo santo.

«Ma che cazzo ne so? Io ero per tuo padre quello che Viktor è per i Volkov: un'arma. Tu racconti piani criminali al tuo Ak-47?»

Sbuffai. Non stavamo andando da nessuna parte. E i tempi non coincidevano affatto: quando El Diablo veniva al mondo Lea era una ragazzina ed era stata adottata da Matteo Gessi già da anni. Blue e sua figlia avevano fatto il loro ingresso nella vita del figlio di puttana molto prima di El Diablo.

Mentre Andrey si beveva altre duecento sterline di whisky provai a vedere la situazione da una prospettiva diversa.

Magari Matteo Gessi era invischiato anche in altre attività illecite. Blue era albanese, o almeno così dicevano i suoi documenti. Dopo il traffico di droga e armi, sapevo bene che il terzo mercato iù florido del mondo è quello del traffico di esseri umani. Pr0stituzi*ne, mercato nero degli organi, p3d*filia e altre amenità che facevano ribrezzo persino a uno come me. Ma magari non a uno come mio padre. Figuriamoci se potevano schifare uno che si scopava la ragazzina che aveva adottato. Forse Blue era giunta in Italia come merce di scambio per un pappone, ma la gravidanza non era calcolata e la ragazza era rimasta sul groppone al contatto italiano che agevolava e coordinava l'arrivo dei clandestini dall'Albania e da chissà quale altra parte del mondo, ovvero Matteo Gessi.

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