21 (parte 3) Seppelliscimi con le scarpe giuste

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Ma negoziai, negoziai per molti e molti minuti con Trevor Baker. Ottenni tutto quello che avevo chiesto: la canzone l'avrei scelta io, avrei ballato in terrazza, avrei indossato abiti a piacimento e, non ultimo, non me li sarei levati di dosso.

E forse vi stupirà scoprire che lui s'impuntò, di fatto, su una sola delle mie richieste, cedendo solo per sfinimento, e che quella richiesta non era l'ultima della lista, bensì la prima.

Si accomodò quindi di fuori, con la mia pochette, il mio portatile e il mio cellulare sul tavolino accanto, mentre io, in bagno, mi liberavo dell'Armani e della biancheria pregiata per indossare calzini di spugna, un top sportivo nero, un paio di slip di cotone e, sopra, un paio di pantaloni Adidas a vita bassa e cavallo largo.

Trevor non si scompose, ma di certo intuì le mie intenzioni fin da subito, facilmente prevedibili vista la mise tutt'altro che sexy. Ma forse, per lui, risultai comunque invitante, visto il luccichio di quegli occhi marroni che di certo non poteva essere il riflesso delle stelle che non sembravano interessarsi di Milano.

E diedi il via alla musica, al ritmo incalzante, alle percussioni formidabili di Rollin', dei Limp Bizkit.

Mi abbandonai, anzi, mi scatenai abusando di tutti gli elementi di cui disponevo della street dance, dell'hip hop, del mio bisogno animalesco di trasformare la frustrazione in rabbia, la rabbia in energia, l'energia in un nuovo insensato ottimismo, frutto di movenze brusche, aggressive e violente, che meglio esprimevano tutto quello che forse non ero ma che sentivo di dover essere, per affrontare quel che restava di quella notte e della mia vita.

Ma non mancai, mai, di provocare Trevor, con l'utilizzo invitante del bacino scoperto, con l'ondeggiare ipnotico del mio ventre piatto e, immancabilmente, con lo scuotere del mio culo ben nascosto da un pantalone impietoso ma abbastanza abbassato sui fianchi da mostrare quanto bastava della curva golosa che sfumava dalla schiena alle natiche.

La ballai tutta, nella sua interezza, quasi incurante di quella che poteva essere l'opinione del mio minuscolo pubblico, totalmente disinteressata al volume troppo alto della musica che poteva causare fastidio in un hotel di lusso e votata esclusivamente alla ricerca di quella piena e assoluta soddisfazione che solo un'esibizione coi fiocchi sapeva donarmi.

E quando non uscì più nessuna nota dalle casse bluetooth avevo il fiatone e i capelli arruffati. E fui pronta in meno di un nanosecondo a ritornare nella suite per lavare via quello che di brutto mi aveva lasciato sulla pelle quella serata sotto una doccia bollente, ma Trevor Baker non mi avrebbe concesso ancora quella libertà.

Mi inchiodò contro la vetrata della camera e temetti si sarebbe frantumata sotto il suo peso, dato che il mio, in confronto, era irrilevante. Aveva il fiatone anche lui, che non aveva ballato, che non si era mosso se non per raggiungermi con due falcate e sbattermi contro quella vetrata, ma che evidentemente aveva dovuto gestire una certa brama che lo stava consumando.

Mi infilò le dita tra i capelli e pensai subito che sarebbe stato un casino sfilarle, vista la condizione pietosa di quel nido di nodi che avevo in testa.

«Sei brava, ragazzina.»

«No, Baker. Io sono la migliore. E adesso mi merito una doccia.»

Mi tenne invece ancora lì, stretta tra il vetro fresco e il suo corpo caldo, senza nessuna intenzione di liberarmi dal suo tocco.

«La farai dopo.»

E una certa brama iniziò a consumare anche me. La tenni a bada.

«Dopo cosa?»

E liberare le dita dall'intreccio dei miei capelli gli risultò effettivamente meno comodo del solito, ma riuscì a farlo senza tirarmeli. Infilarsi dentro quei pantaloni di cotone, invece, fu per lui un gioco da ragazzi.

PRICELESSOù les histoires vivent. Découvrez maintenant