40 Cattive intenzioni e voglie pericolose

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«Forse ti serve una mano per gestire il problema che ti sporge sotto i pantaloni, Trevor.»

Ormai l'erezione era diventata ingovernabile e dolorosa, e quella stronza di Lea non faceva nulla per rendermela più sopportabile.

«La tua mano può solo peggiorare il problema. Stai buona.»

Mi impedivo di guardarla, perché l'unica cosa che vedevo in lei era l'incarnazione dell'erotismo. Non volevo nemmeno sapere fin dove poteva salirle l'orlo di quell'abito minuscolo mentre se ne stava seduta sul sedile della Tesla. Ormai il cazzo aveva compreso che la promessa della scopata del secolo era rivolta più a lui che a Lea. E quindi rimasi quasi sorpreso, quando sentii il suo tocco infame accarezzare la mia durezza.

«Smettila, Lea.»

E invece allargò le gambe e si mise a cavalcioni sul sottoscritto, appoggiando la sua orchidea sfacciata sul mio uccello gonfio. «Perché?»

La bocca. Cristo, la bocca di Lea. Così vicina, carnosa, una morbosa tentazione, irresistibile attrazione. Ero ossessionato dal suo corpo, dal bisogno di toccarlo e irromperci dentro conquistandone ogni cavità, ma la bocca era un'esortazione di carne alla sfrenata depravazione e forse, ma solo forse, se avessi dovuto scegliere se baciarla fino a svenire o scoparla fino stordirmi avrei scelto la prima opzione. «Perché se mi confermi che posso venirti dentro, non ho intenzione di sprecare nemmeno una stilla del mio sperma in un posto che non sia all'interno del tuo corpo.»

E fece di nuovo quella cosa che mi mandava in panne i neuroni, già stressati dal bisogno di resisterle strenuamente: mi baciò all'angolo della bocca, abbandonando in quel minuscolo occhiello tra labbra e guancia un fagotto carico di cattive intenzioni e voglie pericolose.

«Certo che puoi venirmi dentro, Trevor. Ma stai sprecando un sacco di tempo a non venire affatto.»

Le passai il pollice sulla bocca e Dio solo sa quanto mi costò non slacciarmi i pantaloni per accontentarla. «Ti sono venuto nella bocca solo ieri, Lea. E tra una manciata di ore ti verrò dentro così tante volte che alla fine mi implorerai di lasciarti in pace. Quindi adesso fai la brava: smettila ti torturarmi l'uccello con offerte che il suo padrone continuerà a declinare. Siamo quasi arrivati.»

Si incollò sulla faccia una smorfia che mi intenerì, prima di darmi retta e sedersi accanto a me, rigida e incazzata.

L'orlo dell'abito era salito fin quasi a scoprirle le natiche. Allungai la mano, prima per sfiorarla, poi per toccarla come si deve, infine per abbassarle la stoffa arricciata. Il mio ultimo intento si scontrò con le dita sottili di Lea, che mi bloccarono la mano.

«No» mi disse.

«Lea, sei in mutande.»

«Già.»

«Tu non scenderai da quest'auto in queste condizioni.»

«Ah no?»

«No.»

«Allora me le sfilo, le mutande.»

Sospirai, teso e sfinito dalle sue sfide continue e da un'erezione persistente. Al Sweety mancava davvero poco. «Finiscila. Copriti. Scendi. Vai a preparare cocktail imbevibili. Balla con un uomo che non ucciderò a mani nude solo perché ti ho fatto una promessa e poi torna a casa con me. Quelle cazzo di mutande te le sfilo io. Io. Punto.»

L'auto rallentò fino a fermarsi: Lea sosteneva il mio sguardo torturandosi la bocca con i denti.

«Non puoi toccarmi finchè non mi avrai riportata a casa.»

«Prego?»

«Hai capito. Non mi puoi toccare finchè non mi avrai riportata a casa.»

«Scordatelo, non ha senso.»

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