56 Londra è la mia puttana

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C'era una sola cosa al mondo che puzzava più delle sigarette d'importazione di Andrey, ed erano i sigari cubani di mio padre. Quei cosi costavano più del mio Macallan, e in teoria uccidevano prima. In pratica, mio padre era ancora vivo. Non stava fumando, ma lì dentro ne aveva consumati talmente tanti, che anche le pareti avevano l'odore dei suoi sigari.

Il suo ufficio era come lui: sapeva di antico, trapassato, era buio, pieno di roba di cui non fregava più un cazzo a nessuno. Sebastian era ancorato ai suoi antichi fasti e non sembrava disposto ad adattarsi allo scorrere del tempo. Persino il PC della sua scrivania era ben più che superato.

Ma lui i soldi non li aveva mai fatti con un mouse in mano.

«Allora, ragazzo, dimmi cosa ti serve.»

E glielo leggevo in faccia che sperava avessi bisogno di lui per uscire da un pozzo pieno di merda.

«Sai elencare gli elementi chimici dal numero atomico 57 al 71?»

Vidi la sua espressione accartocciarsi. «Sei qui per farmi perdere tempo?»

«Io so elencarli, ma so anche che alla collezione non dovrebbero mancare anche l'ittrio e lo scandio.»

Il suo volto si distese. «Le terre rare.»

«Esatto. Sai cosa sono, quindi.»

Mi fissò con attenzione, finalmente attento, appoggiando i gomiti al ripiano della scrivania e intrecciando le mani. Non era una posizione di difesa, mio padre era un predatore. «Sì, i cinesi ci si fanno le budella d'oro con quella roba.»

«Già. I cinesi. Che non erano coinvolti nell'operazione BlueDomino.»

Non tradì nulla, rimase impassibile. Ma sapevo di avergli smosso qualcosa: il ricordo di un fallimento.

«Ti sei fatto coinvolgere dalla tua puttana italiana?»

«Ho solo una puttana ed è inglese. Si chiama Londra.»

Tre secondi. Tre secondi di immobile silenzio, durante i quali ciascuno dei due tentò di valutare l'altro. E chissà se mio padre vide in me un frammento di sé. Spero di no, ma forse lo vide. Qualunque frammento fosse, spero di averlo scaricato nel cesso già da un pezzo. Fatto sta che si alzò lentamente, e si diresse alla vetrata oscurata da pesanti tende che facevano letteralmente cagare. Non si era allontanato per guardare la notte incombere sulla mia puttana inglese, ma per non guardarmi in faccia mentre mi raccontava di aver sbagliato qualcosa.

«Il nome BlueDomino lo aveva scelto lei. Sai chi è?»

«La mamma di Lea. Adelina Baqiri.»

Irrigidì leggermente le spalle, un movimento impercettibile, unico sintomo di un fastidio causato dalle parole di un figlio mai voluto.

«Sì. Blue, perché quello era il colore della materia sintetica che racchiudeva quasi tutte le caratteristiche necessarie a sostituire le diciassette terre rare, e che lei era certa di poter sintetizzare in laboratorio. Domino, perché l'effetto che avrebbe causato al mercato l'introduzione di un nuovo materiale a basso costo sarebbe stato prorompente per molte economie. »

Avevo supposto qualcosa di simile, anche se mi sembrava incredibile.

«Quindi è vero, Adelina aveva trovato il modo di creare un unico metallo in grado di sostituire i diciassette che finora sono stati indispensabili per la stragrande maggioranza dei mercati informatici e digitali.»

«Non solo, anche per quello elettrico, medico, automobilistico. Le REE, ovvero le terre rare, hanno utilizzi quasi in ogni mercato, Trevor. E il problema non è certo reperirle. Si trovano in molti Stati.»

PRICELESSWhere stories live. Discover now