72 Non lasciarmi solo

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Non aveva importanza quale fosse la taglia del letto in cui dormivamo io e Lea: io la volevo talmente addosso da sentirla dentro, e lei comunque cercava il conforto delle mie braccia non appena si infilava sotto le lenzuola. Quando la notte diventava più buia e silenziosa del nulla, riuscivo a sentire il cuoricino di Lea battere contro il mio petto: quelli erano i momenti in cui mi sembrava di avere tra le braccia una creaturina troppo sottile per poter sopravvivere anche solo a una folata di vento, quelli erano i momenti in cui emergeva la mia paura di vedermela togliere nel peggiore dei modi.

Allora la stringevo più forte, e sapevo che una morsa del genere doveva risultarle fastidiosa, e invece lei mi si sistemava meglio addosso, come se la mia oppressione le risultasse ancora più comoda. E quindi mi rassegnavo al fatto che Lea era molto più resistente di quanto chiunque potesse immaginare.

Gli incubi avevano abbandonato le notti della mia regina da quando avevamo affogato Danyl nel suo bagno, e a me piaceva vederla dormire perché aveva il volto rilassato, il respiro regolare e sembrava sentirsi al sicuro. Era stato lo stesso quando l'avevo portata a Milano: aveva scalpitato, aveva ringhiato, aveva tentato di mordere, ma il modo in cui dormiva in mia presenza era la prova assoluta di quanto abbassasse le difese con me.

L'avevo spiata a lungo in Italia, prima di perdere la testa per lei, e sapevo quanto poco dormisse prima della mia irruzione definitiva nella sua vita.

Io, invece, non avevo imparato ad abbassare le difese, la notte non era ancora mia amica e il mio sonno era rimasto breve, leggero e intermittente, come lo era sempre stato.

«Non piangevi mai» mi aveva raccontato mia madre. «Ma non dormivi neanche. Ti trovavo nel lettino tutto intento a guardarti intorno. Ti svegliava tutto, anche il rumore del silenzio.»

E fu proprio il rumore del silenzio, quella notte, a svegliarmi di nuovo.

Avevo sentito Lea alzarsi e mi aveva detto che andava in bagno e che sarebbe tornata subito.

Non so quanti minuti trascorsero prima di ritrovarmi con gli occhi sbarrati mentre annegavo nell'improvvisa consapevolezza che non avvertivo il peso leggero del suo corpo sul mio, che accanto a me il letto era vuoto e che la mia bambina non era tornata.

Mi misi a sedere di scatto, con addosso un terrore che non provavo da un paio di decenni, finché vidi un minuscolo bagliore al di là della vetrata.

Il sollievo fu così immediato che mi stordì. Mi alzai piano, non volevo spaventarla precipitandomi in veranda.

Quando feci scorrere la porta a vetri alzò lo sguardo e mi fece un sorriso stanco. Si era avvolta in una coperta perché a lei non fregava un cazzo delle stagioni, se voleva una coperta sulle spalle in piena estate se la procurava. Seduta per terra, con il bagliore dei una sigaretta tra le dita, mi parve afflitta come una stella che si era persa cadendo dal cielo.

Aprì un braccio per offrirmi un posto accanto a lei sotto la coperta, ma preferii sollevarla e mettermela in braccio. Il suo corpo abbandonato al mio mi restituì la vita.

Le presi la sigaretta dalla bocca e diedi una boccata anche io prima di spegnarla sul pavimento, in attesa che mi dicesse quello che le passava per la testa. Sapevo che forse avrebbe fatto male.

«Non ti avevo mai visto mentre dormivi, mister Nike.»

Aveva la voce un po' impastata, sembrava si trascinasse le parole con una lingua affaticata.

«E io non ti avevo mai vista mentre fumavi, miss.»

«Te l'ho rubata dalla tasca dei pantaloni.»

«Non è un problema, ma mi chiedo per quale motivo tu abbia deciso di iniziare a fumare proprio stasera.»

PRICELESSTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang