75 Più incazzato che lucido

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Sul frigorifero c'era la calamita che Lea gli aveva portato da Milano. Subito accanto, una di quelle che Lea aveva acquistato in Australia. Ma non quella di Cairns: a Denis aveva dato quella di Sydney. Mi venne voglia di toglierla da lì per infilarmela in tasca, ma non sarebbe servito a ricucire gli strappi del mio ego ferito.

E, in fondo, mi sentii ben felice di constatare che quella di Cairns non era per lui. Era per noi.

Spensi tutte le luci, a parte la piccola abat jour sul tavolino, accanto alla poltrona in cui mi accomodai per attenderlo.

Fumai parecchio, nell'attesa, e siccome ero abbastanza convinto che la prolungata assenza di Denis coincidesse con gli amplessi che si stavano regalando lui e Alice, gettai tutti i mozziconi per terra.

Controllavo ossessivamente il cellulare criptato per accertarmi che Lea non avesse bisogno di me, ma in caso di allarme, quel coso lanciava un segnale acuto come una sirena e vibrava come un terremoto magnitudo 10. Quella consapevolezza non m'impedì di tirarlo fuori dalla tasca per guardarlo ogni minuto.

Quando sentii il rumore delle chiavi nella serratura, gettai l'ultima sigaretta sul pavimento, e la pestai con le mie Nike.

Denis entrò in casa sua ben sapendo che mi avrebbe trovato lì.

«Hai fumato in casa mia, Baker.»

«Ti sei scopato la mia fidanzata, Denis.»

«Adesso mi sono scopato anche la sua barman preferita.»

«Sto pensando che non è poi così importante, per Lea, che tu sopravviva. Quindi regolati.»

Non accese nessuna luce: venne a sedersi sulla poltroncina di fronte alla mia.

«È in parte vero» ammise, e francamente non me lo ero aspettato. «Ma solo in parte» aggiunse. «Adesso posso crepare perché Lea ha predisposto la sua fuga, e io lo so perché mi sono occupato della parte... burocratica. Quindi sì, non è così importante che io sopravviva ancora a lungo. Ma se dovessi morire, voi avrete molto poco tempo prima di filarvela.»

Inspirai. «Io non me la filo, Denis.»

«Ah no?»

«Ho altri piani.»

Mi studiò per qualche istante. «Sì, ho trovato strana l'assenza del tuo titano russo. Immagino stia facendo un po' di lavoro sporco per te.»

«È nostra consuetudine sporcarci le mani per l'altro, e poi stringercela quando abbiamo ottenuto quello che serviva a entrambi.»

Accolse la mia verità con un cenno della testa. «Buon per voi.»

«Qual è il tuo vero nome?»

«È la domanda sbagliata, Baker.»

«No, è la risposta sbagliata. Chi cazzo sei? Chi ti ha messo sulla strada di Lea? Mio padre? I Volkov? O quella merda di Matteo Gessi?»

Sbuffò, sentendo ciascuna di quelle ipotesi. «È meglio se ci beviamo sopra, Baker. Fidati.»

Lo guardai mentre tornava dalla cucina con una bottiglia che conoscevo bene. Al polso, una leggera vibrazione mi informava che Lea era un po' agitata. Studiai il suo grafico. Sapeva che ero con Denis, l'avevo al sicuro: cercai di mantenere la calma, consapevole che probabilmente si stava chiedendo se io e il suo migliore scopamico fossimo già arrivati alle mani.

«È quella che mi sono portato via dal tuo alloggio dopo che ti ho parato il culo con tuo padre» specificò, indicando la bottiglia. Avrei voluto dirgli che non se l'era portata via lui, gliel'avevo lasciata io, ma non sarebbe servito, e magari avrebbe colto l'occasione per fare un parallelismo con Lea che mi avrebbe fatto incazzare ancora di più.

PRICELESSWhere stories live. Discover now